giovedì 6 agosto 2009

Cicli di cicli

…maggio, giugno, luglio, agosto, fra una settimana fanno quindici mesi qui in questa terra che è a pari livello con pesci e delfini.
E finché la matematica resta un’opinione ben sostenuta, quindici diviso tre fa cinque.

Cinque non è un numero magico, non ha le implicazioni religiose del sette o l’onnipresenza del tre. Al massimo gli si concede la virtù di essere tollerato dai precisini che amano le cifre tonde.
Comunque questo particolare cinque è il numero medio di mesi di sopravvivenza di una bicicletta di proprietà del vostro scribacchino in questo paese così quassù, così quaggiù.

Tre biciclette in un anno e un quarto dunque. E le ho amate tutte.
La prima era una Batavus Torino verde e viola. Cinque cambi, linea anni ’80, comprata al mercatino di Waterlooplein in un giorno piovoso di fine maggio, con il venditore isterico per la pioggia e per la mia indecisione. Perché scegliere una bicicletta non è mica facile, quando ti sembrano tutte uguali. Per fortuna che c'è K che ne conosce i punti critici.
Che poi uno dice “mercato” e pensa a roba da bancarella, e se sono biciclette, allora sono rubate. Qui invece no, i mezzi sono raccolti dai noleggi e sono grossi calibri dai capelli appena appena ingrigiti. Il mio Batavio era un George Clooney bello ed elegante nonostante l’età leggermente avanzata.

Mi era diventato fedele, docile ai miei comandi, nonostante la ruota giusto un po’ storta, lo facevo trottare verso l’ufficio, pensando a come trasformare la scritta “Torino” in “Trentino”. Era una bicicletta di campagna, non ha retto la città. Il 17 ottobre pioveva, ero stato in centro a vedere Heavy Metal in Baghdad, che è un documentario su sti ragazzi iracheni che suonano in un gruppo peso, sulla ciclabile è arrivato uno con un motorino dalla targa blu, di quelli che sono autorizzati a girare sulle ciclabili a patto che tengano una velocità decente, si è spaventato, ha inchiodato, ho inchiodato anch'io, lo ho visto al rallentatore, cadere, poi scivolare a terra per dieci metri per fermarsi solo contro la mia ruota posteriore. Bilancio: nessun ferito, ma la ruota posteriore del Batavio da buttare.

È andata bene, ridendo trascino il biciclope ad una sola ruota fino a casa, una cosa come tre o quattro chilometri e poi vado a dormire pensando solo a sostituire la ruota.

Il giorno successivo giro una mano e qualche dito di negozi e tutti mi dicono che è un modello particolare e cambiare la ruota mi costa più del valore della bestia.

Bestemmio, mentre Dio pensa “Sai che novità”.

Comincio subito a cercare mezzi di seconda mano su internet. Uno mi porta a casa di uno di quelli che qui come in America chiamano gianchi. La bestia che mi propone si tiene a malapena su due ruote, è chiaramente rubata e se c’è una cosa che l’etica impone in questo fondale idrorepellente è “mai comprare biciclette rubate”.

Per un rampichino blu giro di bus in bus nel freddo di novembre. Lo vedo, lo provo, lo compro. Appena parto mi accorgo che è troppo piccolo per me. Lo uso lo stesso, ridicolo sulla mia bici palmare blu, che sembra la biemmeicchese dei ragazzini delle culture di strada, dopo una settimana si spegne la luce, poi la ruota posteriore mi cade in depressione e non c'è più verso di sollevarla. La ruggine arriva nell’arco di due settimane, nonostante il telo protettivo, e la palmare pedala da sola sul viale del tramonto.

Allora torno al mercato, dallo stesso personaggio, stavolta felice e disponibile, sarà il tempo. Sempre con il prezioso consiglio di K, allargandomi un po’ compro una meravigliosa Sparta verde scuro, che fila dieci volte meglio del Batavio e diventa presto la mia beniamina.
In sette mesi di vita, neanche una foratura.
Poi due settimane fa si incanta il cambio. L’eroica creatura sopravvive ancora un ritorno a casa dal centro e un’andata verso il lavoro, per poi cedere miserandamente sulla via del ritorno.

A Chiesavecchia, il villaggio dove lavoro, ci sono due negozi di biciclette. Uno è il temuto De Haan, in pieno centro, dieci metri dall’ufficio e prezzi degni del paesino di ricconi dove risiede, fra anziani matti e pittoreschi e giocatori dell’Ajax.

L’altro è Bas, che vive defilato e aggiusta biciclette per sportivi di livello vario. È uno che parla poco, ma è anche un ragazzo onesto. Un ragazzo onesto che è appena partito per tre settimane di ferie.

Bestemmio, e gli dei mi canzonano.

Porto la Sparta a De Haan, dove mi dicono che riparare la fedelissima mi costerà 120, mentre per riprendermela intonsa ne bastano 11 e cinquanta.
Pago 11, 50 e bestemmio. Gli dei continuano la mano di briscola.

E ora, dopo una settimana di bus mi attendono altri 15 giorni senza ciclo, roba che se fossi una ragazza, beh, la battuta fatela voi. Ritardi, deviazioni, biglietti, per chi gira in bus, sono cose da mettere in conto. Ma uno che è abituato ad essere il tassista di se stesso, uno che di pedivella, in centro ci arriva in mezz'ora, partendo quando vuole, andando dove vuole, libero, a queste cose non ci è più abituato. La bicicletta è il sogno americano del pendolare.

Anche perché qui si dà per scontato che uno abbia un paio di pedali sempre sottomano. Capita infatti che intorno a mezzanotte del venerdì uno proponga di andare dall’altra parte del centro a prendere una birra. Senza pedali non si fa. E poi va bene, ti caricano sul mezzo di un altro, rischi l’osso del collo almeno un paio di volte, fai partire raggi che manco i denti di chi si prende i pugni nei cartoni animati, ma alla fine ci arrivi, in centro. Poi però, dopo quella birra devi andare a caccia del 357 notturno, che per modici 3,50 ti concede un giro panoramico della periferia della durata di ore una, per poi lasciarti a un chilometro da casa.

Ed è bene che sia così scomodo, perché altrimenti uno, dopo essersi giocato sei ruote in un anno, avrebbe quasi voglia di lasciar perdere ed evitare ogni mezzo con meno di tre ruote alla volta.

Una domanda però resta: perché tutti i rampichini che ho avuto in Italia sono sempre durati decenni e queste utilitarie a pedali dopo pochi mesi si spaccano?
Forse perché, come si evince dal massiccio uso di componenti da sfigati quali copriruota, campanello e fanali, qui la bici non è sport, ma un mezzo di trasporto e pedalando con la fedele protesi musicale conficcata nelle orecchie i chilometri si macinano che è una meraviglia. Devo averne fatti, qui, in un anno, il triplo che in tutto il resto della mia vita, senza sentirli.

Ma non è valido. Sul piano son buoni tutti.

3 commenti:

Felix Lalù ha detto...

cacchio, questa l'avrei voluta scrivere io

Bestemmio, mentre Dio pensa “Sai che novità”.

Anonimo ha detto...

Anche: "bestemmio. Gli dei continuano la mano di briscola" non è niente male.
Post delizioso.
Mia

Anonimo ha detto...

Anche a me ha colpito molto il rapporto autore - entitá divina. Ogni tanto mi metti delle chicche che adesso giro il tuo blog al mio amico Marco (a lui mando solo le cose che valgono la pena, che é piú critico di me, non fosse altro che lui lo pagano).
claudia