martedì 27 dicembre 2011

Il libraio di Carnarvon


A Carnarvon c’è una libreria. Dall’interno, mentre cerchi di disseppellire qualcosa che ti aggradi fra cumuli di thriller di seconda mano, puoi vedere la baia e la lingua di sabbia che protegge il paese dall’Oceano Indiano.

E c’è anche un libraio che più australiano non lo trovi: ha una faccia tonda di carne con un pizzo serio e nero, due spalle grosse come clave con tatuato il nome di un bambino, una data di nascita recente e un dragone alla cinese, che spuntano dalle spalline di una canottiera tesa sopra un cofano di muscoli ad alimentazione etilica. Ti aspetti un’occhiataccia del tipo “so che sei qui per ciularmi i tascabili” e invece, come succede spesso da queste parti, il pizzo nero si apre in un sorriso che ti chiede da dove vieni, butta giù tre parole in francese, ti racconta delle sue avventure di pesca e prepara un itinerario di posti che non puoi non visitare. Se non avesse da lavorare ti stapperebbe una Carlton, o più probabilmente due o tre, mentre ti parla dei libri che ha appena letto.

Mi viene in mente Chatwin, Le vie dei sogni, il libro che ha scritto dopo aver visitato l’Australia per studiare le tradizioni degli aborigeni. Lo leggevo tempo fa, pieno di ammirazione per i personaggi incredibili che Chawin incontra. Spesso gente rude, poi lui ci parla un po’ e si scopre che sono intellettuali in borghese, come il poliziotto che passa le giornate a sollevare pesi e alla fine vuole solo discutere Spinoza.

Poi un giorno ho letto che Chatwin tendeva ad esagerare, e molti dei personaggi del libro sono caricaturali o inventati. In effetti, pensandoci bene, le descrizioni erano un po’ troppo inverosimili. Stupido io a fidarmi.

Da allora non sono più riuscito ad apprezzare il resto del libro, ma ai tempi non ero ancora in Australia. Dopo il libraio di Carnarvon e un paio di altre persone, a Chatwin non posso più dirgli nulla.

giovedì 15 dicembre 2011

Palpebre

Il sole secco e il vento che entra dal finestrino completamente abbassato mi seccano gli occhi e devo lavorare di palpebre, nonostante l’unica cosa che voglia fare sia stare immobile, tenere fermo il volante per assecondare rettilinei di chilometri e guardare strada e scenografia registrando appena.

Sto bene nei deserti. Malinconico, ma non triste, convinto ma senza inutile euforia, che una volta disillusa mi si rivolterebbe contro. Il sole è troppo caldo per eccitare la testa, la stordisce, la lascia in uno stato in cui ogni movimento significa sprecare energia. Neutrale, pareggio, X, e ci risiamo una volta ancora. Il deserto non prende posizione, e a quanto pare qualche volta ne ho bisogno anch’io.

sabato 3 dicembre 2011

Sogni e furgoni

Me lo avessero detto a sei anni, o a sedici, che un giorno mi sarei trovato a guidare un furgone camperato per le strade dell’Australia occidentale, con a fianco una ragazza che non parla la mia lingua. Ci penso mentre passo montagne a strati che sembrano viennette rosse, in direzione di Kununurra. Penso che il fatto che sia vero un po’ guasti la festa. E che mi toccherà trovarmi un nuovo sogno da realizzare, magari uno che faccia felice mia madre, per una volta.