sabato 22 settembre 2012

Hippy


Da Brisbane in giù la costa si fa decisamente affollata. Ci abita la metà degli australiani, ma basta allontanarsi dall’oceano per 10 chilometri e tutto cambia. Da Byron Bay calchiamo sabbia, sassi e asfalto malfermo fra boschi di eucalipti e felci e prati di erba secca, spezzati da alberi infuocati di fiori rossi.

Poi dagli eucalipti spuntano i colori di Nimbin, la colonia hippy d’Australia. Negozi di vestiti arcobaleno, bar coperti di murales, il “centro ambientale”, che si propone di risolvere i problemi del mondo a colpi di adesivi che dicono NO a questo e quello. E non può mancare la Hemp Embassy, l’ambasciata della canapa, perché si sa, se la gente si facesse le canne invece che la guerra, non sarebbe forse un mondo migliore?

A Nimbin abitano anziani con pochi capelli grigi, ma in compenso lunghi fino alle spalle. Le loro magliette tie & dye stanno perdendo il colore che era rimasto dopo quel bagno nella varechina nell’Estate dell’Ammore. È gente che non ha perso l’ardore di 40 anni fa, gente che non è scesa a compromessi, che non è cambiata dai tempi gloriosi. Né in meglio, né in peggio. Manco la decenza di imborghesirsi.

Ecco, tutte ste cose hippy, con gli anni cominciano ad intristirmi.
Per dire, mi intristiscono le canne. A 16 anni ci si passa tutti. Poi ho smesso. Ho smesso appena ho realizzato che passando le serate a rollare con i soliti sarei rimasto vergine per sempre. E qui c’è gente che parla di maria con l’entusiasmo di bambini che dicono Cacca e gira con la maglietta della Cocacola, ma con scritto Cannabis invece di Cocacola. Che poi forse vergini non lo sono, e sono io ad aver perso un passaggio, ma in fondo no, chi lo vuole uno calvo con la coda di cavallo?

E poi mi fa tristezza l’odore dei loro tascabili impolverati, perché sono sempre gli stessi. Da qualche parte nel libro non scritto dell’Ammore c’è una legge che dice che se vuoi fare l’hippy devi leggere di canapa, yoga e Vietnam. Che poi in Indocina ormai vige la pax turistica, e scommetto che la Siria e il Sudan non sai nemmeno dove sono.

E soprattutto, se leggi Sulla Strada ti rendi conto che con gli assegni della nonna son buoni tutti a fare i beat.



Appunto, l’hippy alla tua età lo puoi fare solo con anticipi sull’eredità o con i soldi del sistema sociale. O credi davvero di tirare avanti vivendo della tua arte? Guarda che chi ha abbastanza gusto per poterlo fare, alla tua età si fa di sostanze molto più glamour.

lunedì 10 settembre 2012

Per musei


Se tu entrassi in un museo di arte contemporanea, ad esempio la Galleria di Arte Moderna di Brisbane, giusto per dirne una. Magari sei uno che a musei ci va spesso, che si mette in ghingheri per non stonare con le opere in mostra.

Metti che arrivi in una sala dove si parla di riti e religione. Ci sono scudi aborigeni e maschere della Nuova Guinea, tempietti indù con le rotelle e moai dell’Isola di Pasqua con orecchie da coniglio. Tradizioni intatte o dissacrate, tutte opere di artisti etnici, che vengono da posti etnici, compreso lo svizzero delle orecchie da coniglio – forse. E in mezzo alla sala c’è un tavolo di legno dell’Ikea con quattro baldi giovani che mangiano roba tailandese. Come reagiresti?

Butteresti là un occhio, ma con nonchalance, che spesso non stupirsi davanti all’arte moderna è il passo più vicino al capirla. Poi faresti un giro largo, concentrandoti sulle opere più lontane dal banchetto fuori luogo. Te lo dico perché sono uno che osserva. E a quel tavolo ci sedevo an ch’io.

È successo che una curatrice sorridente (in Australia anche le curatrici delle mostre sorridono, se non altro perché qui tirarsela vuol dire essere esclusi dalla società) ha avvicinato Lilù mentre studiava il tavolo di legno vuoto e le ha chiesto se le andava di mangiare thai a sbafo. Pare che l’evento si ripeta ogni venerdì alle 12.30 per quattro fortunati pescati in galleria.

È un’installazione/evento  di un artista tailandese, “gentilmente donata dall’autore”. Il messaggio è qualcosa a proposito di ospitalità e altri dettagli non ne conosco, che dovevo assicurarmi che gli altri non mi fregassero il curry da sotto il naso. Alla fine non ho neanche fatto in tempo a chiedere se è l’artista che paga il take away.