domenica 21 settembre 2014

Viva Facebook



In verità, in verità vi dico che per me Facebook è una cosa straordinaria (questioni di privacy a parte).

Per dire, fra una settimana parto per il Sudafrica. Là incontrerò un amico d’Erasmus che avevo perso di vista prima di Facebook e che ora incontro almeno una volta all’anno, e anche Claudia, che ho incontrato su questo bugigattolo qui, ma che ora conosco meglio anche tramite Facebook.
Questo basterebbe già da solo, ma non è tutto. Per uno che ha vissuto in una serie di paesi diversi, più un’Erasmus e contatti in giro per il mondo, Facebook è utilissimo. Ora tu vieni a dirmi che sono amicizie superficiali e io ribatto e allora? Chissà che quell’amicizia superficiale, approfondendola un po’ non diventi un’amicizia vera. In via precauzionale, basta ricordarsi di chiamarli “contatti” e non amici.

E poi per uno come me, affetto da prosopagnosia, ma con un’ottima memoria per nomi e cognomi (non nomi soli, ma solo associati al cognome), vuoi mettere riuscire a capire finalmente chi è chi fra il repertorio di facce di compaesani che hai in mente vagamente?

Secondo me, chi ce l’ha con Facebook, semplicemente non ne sa usare le funzionalità:

1)      Funzionalità ignora. Se ti dà fastidio quello che usa il suo profilo solo per lamentarsi, o peggio ancora per ribadire che solo i vegani meritano di vivere, basta toglierlo dai contatti, o almeno scegliere “ignora”. Ho migliorato il mio profilo ignorando circa un quarto di tutti i contatti, fra gli amici di Gesù, i leghisti, gli antifascisti militanti, i grillini intolleranti., quelli che usano il profilo solo per dichiarare amore all’amata, i postatori compulsivi di neonati, quelli che fotografano i cibi più stomachevoli (chissà perché, il cibo fotografato su Facebook di solito mi disgusta), i catenacciari di Sant Antonio e l’esercito del self.

2)      Farsi piacere cose belle. Su Facebook si trovano un sacco di cose utili. Ad esempio le notizie di Internazionale, ben scelte e sempre interessanti. Valgono il like già da soli gli articoli che scrivono dopo ogni seduta del parlamento, nei quali si riassume concretamente cosa è stato approvato, senza riportare dichiarazioni di politici. Già questo da solo vale l’account. Se poi ci metti tutti i contatti musicali che mi fanno rimettere in pari dopo anni di disinteresse (la rivista americana Under the Radar è fantastica). E i programmi radio che scopro in podcast perché alcuni amici fidati ci sono fan su Facebook. Insomma, esercitandosi nell’arte del like selettivo, Facebook può essere utilissimo.

E non solo. Chi si lamenta di Facebook è spesso chi lo usa peggio. Tipo una Cara Amica, che aggiorna lo stato ogni venti minuti e ci tiene informati su tempo, salute dei figli, successi dei figli, voti dei figli, umore ballerino – tanto che non è difficile dedurre i suoi giorni in rosso, soprattutto per chi come me la conosce per esserci stato un po’ insieme tanti ma tanti anni fa. L’altro giorno, la Cara Amica si lamentava di chi per strada le chiedeva come andava la salute dopo aver letto di certi fattacci su Facebook. Cara Amica, volevo scriverle, se tu scrivi che stai male su Facebook, poi può darsi che la gente lo sappia, magari senza immaginare che tu preferiresti di no.

Questo è il vero limite di Facebook: devi sempre tenere presente che quello che scrivi poi la gente magari lo legge.

mercoledì 10 settembre 2014

Un altro settembre



Ogni anno aspetto l’inizio di settembre per ascoltare Murray Street. Perché i dischi preferiti non li puoi ascoltare troppo spesso, altrimenti si annacquano.
Murray Street mi ricorda una scena senza importanza: io sul regionale che mi riporta all’Università. È una scena di lucidità perfetta: ricordo ogni dettaglio. Per la precisione, quando passa The Empty Page sono fra Isola della Scala e Nogara, ricordo perfino il treno che prende velocità e quella casa squadrata con la ringhiera verde che c’è là dall’altro lato rispetto alla stazione di Isola. The Empty Page parte calma ma convinta, come il deserto. E ci sono sti pizzi di chitarra malinconica, giusto per quella punta di eroismo. Che poi di eroico a Isola non credo ci sia nulla, ma con tutte le canzoni scritte negli anni sul Tennessee, ce ne può stare anche una sulla campagna veneta. 

I prati fra il Veneto e l’Emilia li ricordo come il deserto e di desertico c’è anche il suono. C’è Disconnection Notice, con la malinconia aumenta, ma senza far male. Ti svuota, come il deserto, e quando sei vuoto non puoi che stare bene. Presente il Nirvana prima che diventasse un gruppo rock? Non sono solo, ma nessuno parla. Non un telefono che squilla per altre due ore fino a Bologna. Altre ore di vuoto. Pioppi che potrebbero essere cactus, casali con parcheggiati Ciao che per un attimo sono dromedari. Poi il bello è che le altre canzoni non le ricordo. Non solo quel giorno, ma ogni volta che ascolto quel disco. Senza accorgermene mi perdo. Non nel libro che sto leggendo – è Speaking with the Angel, raccolta di racconti a cura di Nick Hornby – mi perdo perché è musica da farti perdere, e sono nel deserto e nessuno parla. E bisogna conservare i liquidi – tè freddo San Benedetto, gusto tè verde con menta, perché nel deserto manca l’acqua, almeno fino alle macchinette sul binario a Bologna. 

Ancora mi chiedo il perché di quel viaggio in treno, ovviamente non la finalità – l’anno accademico, ma perché ce l’ho così fissa in mente. Forse è l’immagine della serenità assoluta, una felicità data non da circostanze felici, ma dall’assenza totale di responsabilità, a parte forse cercarmi un appartamento. Forse è che sono nato a ottobre, e settembre per me chiude sempre un ciclo, è stagione di riepilogo e ripartenza, e le ripartenze mi sono sempre piaciute, perché puoi ricominciare diverso e cambiare è una cosa che mi è sempre piaciuto fare.