domenica 23 agosto 2009

Trentasei virgolette per parlare di politicamente corretto

L’altro giorno, fra queste righe, ho scritto “frocio”. E siccome non sono maschilista, ho aggiunto “frocia”.

“Seguirà dibattito”, dicono alle presentazioni dei libri o alle proiezioni di diapositive. Il dibattito è seguito. Sulle righe di sto coso qui, ma soprattutto fra le varie incarnazioni del sottoscritto.

“Frocio” è un termine offensivo. Ma è anche un termine che ho sentito usare più di una volta da omosessuali per definirsi. È una parola che isolata dall’accento romanesco ha un suono dolce. Una parola di etimologia a me sconosciuta, che non richiama abitudini o parti del corpo spregevolmente associate agli omosessuali.

Rimane comunque che un omosessuale, trovandosi sto termine a manco un metro dagli occhi, ha tutto il diritto sentirsi offeso. Dopotutto è vero che anche gli africani e i loro discendenti fra di loro si chiamano “nigger”, ma questo non significa che chiunque possa fare lo stesso.

Negro, appunto. Una parola che viene dal latino, secondo me più elegante di “nero”. Una volta si poteva dirlo, poi gli americani han detto che no, e allora anche noi no.

Il fatto è che è un dato obiettivo: la maggior parte degli africani ha la pelle nera. Nel mio magico mondo fatato, “negro” si può dire, perché si può dire “biondo” e ad avere la pelle nera non c’è niente di male. Perché i capelli neri sì e la pelle no? Invece, nei verdi pascoli della mia mente non si dice “di colore”, perché se vogliamo essere obiettivi, siamo noi ad essere decolorati.

Neanche “handicappato” mi piace, perché è un calco troppo fresco. Nel mio italiano si direbbe “ostacolato”. “Handicap” è una parola inglese e per adattarla all’italiano ci vuole un po'. E hai voglia a dirmi che “handicappato” non si dice. Chi appartiene alla categoria si affretterà a precisare che gli ostacoli, o handicap, esistono eccome. Il termine per definire gli ostacolati è forse quello che cambia più rapidamente nella lingua italiana. Nel mio ventennio di vita conscia si è passati da “handicappato” a “portatore di handicap”, “invalido”, “disabile” e “diversamente abile”. Un termine nuovo ogni tre anni, che non si limita a far abdicare il predecessore, ma lo fa passare immediatamente dalla parte del torto.

È che per me, tutte queste forme di correttezza politica puliscono solo esteriormente. Come si diceva prima che se non ci fosse il razzismo non ci sarebbero problemi a parlare di neri, vale anche il discorso secondo il quale accettando le differenze di orientamento sessuale qualsiasi epiteto non offensivo andrebbe bene per i gay, mentre quelli offensivi non avrebbero ragione di esistere (c’è per caso qualcuno che chiama “figattoni” gli etero?). La cosa è ancora più evidente con chi trova ostacoli fisici o mentali nella società: basterebbe ammettere che un problema c’è.

Succedeva con mio cugino nei suoi due anni di vita da tetraplegico. Io non sapevo che termini usare per parlare del suo stato, mentre lui ci avrebbe quasi scherzato sopra.

Bisognerebbe smetterla di dire che siamo tutti uguali e cominciare ad apprezzare le differenze.

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