domenica 20 gennaio 2008

polenta, spezzatino e rocchenroll


mi sembra evidente che la musica altro non sia che una metafora della polenta, e viceversa.
sette note e 7 ingredienti 7. spezzatino, crauti, salsiccia, funghi, scotechino, formaggio, capriolo. do re mi fa sol la si do. e a proposito di fa sol, ho dimenticato i fagioli, ma quelli sono un buon si diesis.
si possono aggiungere altri ingredienti, ma una polenta col tonno può risultare troppo etnica, mentre una taragna al pesto è troppo d'avanguardia per un palato nostrano.
per questo si finisce sempre per rimestare i soliti ingredienti, pur sapendo che volendo il campo d'azione sarebbe infinito.
ma non di soli ingredienti vive la polenta. come vostra nonna potrà confermare, la cottura, la farina, il paiuolo sono fattori tutt'altro che secondari. la polenta acquista così la sua personalità. la polenta facile, quella che comprate la farina al maxì, la schiaffate in padella e in 10 minuti è pronta, quella è una polenta commerciale, ricca di venature rimmenblùs, facile da produrre, di accesso immediato, ma alla fin fine povera di significato. è altresì possibile produrre una polenta progressive, ricca di intingoli, brodi e brodini, destinata ai palati più eccelsi, i quali però com'è risaputo, non è certo di polenta che si nutron. allora meglio la polenta di protesta, 3 ingredienti di sicuro impatto: un tonco-funghi-caprioli che è un la-mi-re proletario, affinato da una sonda di nostrano che ha l'aroma del fiato di un dylan d'annata dannata, il tutto rimestato in un paiolo di rame ammaccato sul fuoco di una malga con un pascolo che neanche a vustock. e le vacche tutte a professare il libero amore.
mi gusta la mosa punk, ricca di ingredienti semplici, working class, come crauti e scuotechini. una polenta incazzata, una brodaglia che sa accontentare i palati di chi ha passato 12 ore a lavorare in fabbrica, o a fumare pachistano.
a rovereto la polenta la tagliano con un filo che pare quello interdentale. a me la sinfonia non è mai entrata in circolo, ma le corde della viola di john cale la polenta la tagliano di sghimbescio, rendendo il piatto più appetibile ai palati più curiosi.
un tempo si diceva però che l'eccessivo consumo di oro giallo potesse condurre alla pellagra. meglio quindi di polenta abbondare, ma di nulla abusare. leggere ogni tanto un bel libro, accompagnato da un brasato leggero leggero e un amarone che è la morte sua, farsi una passeggiata, bere un cynar.

sabato 19 gennaio 2008

perché di sì

cominciamo con il constatare l'ovvio. c'era bisogno di un nuovo blogghe? parte il coro di no, anzi, non parte proprio,perché tutti sono già occupati a scrivere sul loro bel blogghe personale.
mi replico da solo: ma allora che cazzo lo scrivi a fà? della serie "me le faccio e me le rispondo" aggiungo piccato un concreto perché sì.
perché sì, eccone il motivo. due parole belle, un segnale forte come direbbe weltroni. tanta positività espressa da una breve affermazione positiva di due lettere, e una congiunzione che serve per farsele (le domande) e rispondersele da soli. due accenti, che grazie al loro andamento in senso contrastante denotano equidistanza, equilibrio, bene e male, ying e yang e una fitta ridda di balle varie.
perché sì, anzi, perché di sì, con l'aggiunta di un elemento di centro per venire incontro all'ala moderata, un elemento che con la sua assenza di significato svolge il ruolo del moderatore, come un piccolo, eroico, cordiale brunovespa. che poi tra parentesi, per sottolineare ancora una volta le radici postcattoliche di 'sto blogghe, "di sì" altro non è che la pronuncia kennedyzzata di democrazia cristiana.
capiamo quindi solo ora il significato innovativo di questo "perché di sì", che sembra pensato all'uopo per traghettarci verso nuovi orizzonti democratici, ma s'intende, poggia sempre saldamente su radici cattoliche e valori quali la famiglia cattolica, quella del mulino bianco, come solo sai far tu, mamma.