martedì 21 maggio 2013

Al cinema



Ecco, chi ha letto il mio ultimo coso e poi ha seguito l’ultima giornata di Serie B, sa che i sogni si avverano. 


Certo, non succede spesso nella VeraVita Reale: non è che domani mattina mi sveglio, prendo il giornale e scopro che Berluscuori di colpo si è inginocchiato in mezzo al parlamento per invocare perdono. Nella VeraVita ste cose qui succedono al massimo a Paolo Brosio.


Per questo, per riempire gli spazi pareggiosi della vita, ci sono il cinema e il calcio. E qui lasciamo perdere il cinema, con i suoi giri miliardari e gli attori strapagati, che pensano solo a copulare fra di loro e riprodursi in provetta, per farsi una famiglia senza doversi sformare col pancione.


Perché sabato scorso, Sassuolo - Livorno pareva diretta dal signor Fellini di Rimini. C’era il sogno che ti sfugge dalle mani, la lotta sociale fra i comunisti e gli operai del cementificio, la disperazione al momento in cui gli emiliani sono rimasti in 10, il sanciopanzismo delle traverse e il furore di ribaltamenti di scena che si concludevano con una scarpata dell’attaccante, solo davanti al portiere, quando già ti era partito metà “porco”, perché sapevi che non sarebbe potuta durare


E poi c’era la rabbia degli oppressi, che ormai in 9 contro 10 scaraventavano lontano il pallone e per magia arrivava ad uno dei loro, che faceva tre passi, tirava senza troppo mirare ed era gol e poi tutto finito e già si festeggiava l’Oscar per i migliori attori protagonisti. 


E negli spogliatoi Troianiello celebrava mostrando i muscoli palestrati, perché anche gli eroi sono tamarri, e non vale solo per Di Caprio.


Ecco, Sassuolo - Livorno va conservata in cineteca, va incofanettata e allegata alla Repubblica del sabato. Va proiettata d’estate all’aperto nei cineforum di provincia, col sudore e il profumo dei sambuchi.


Poi non so se ci avete pensato, ma per sognare ci sarebbero anche i libri. Ma tanto prima o poi anche di quelli ci fanno il film.

mercoledì 15 maggio 2013

Pavoletti



Ora mi prenderete per matto. Eppure dicono che quando si sta male fa bene parlarne. E allora parliamone, anche se so che non è mai facile immedesimarsi nel dolore degli altri.


È un po’ che sto male. Eppure avrei molti motivi per stare bene. Invece, per uccidermi il morale è bastato che si realizzassero tutte le variabili che hanno reso probabile quello che sembrava impossibile.


Il mio malessere arriva da lontano, o più precisamente dalla provincia di Modena. Io a Sassuolo non ci sono mai stato. Non so neanche quanti abitanti conti. Probabilmente pochi, e mi è bastato questo per affezionarmi alla sua squadra di calcio, che dieci anni fa perdeva i playout di C2 contro il Trento (solo un trentino può sapere quanto sia scarsa la Trento pallonara) e l’anno scorso ha mancato per un pelo la promozione in Serie A. È stata una storia alla quale mi sono affezionato, tanto da seguire fin dall’inizio le sorti di Pavoletti, Berardi, Terranova e gli altri nel campionato di Serie B di quest'anno. Una storia destinata ad un successo scontato: a dieci giornate dalla fine i neroverdi erano in testa alla classifica, con 15 punti di distacco dalla prima squadra non promossa automaticamente. 



Eppure me lo sentivo. Sembrava troppo bello, troppo facile. Ad ogni pareggio mi irrigidivo per un paio di minuti, pur conscio del fatto che bastasse pochissimo per rendere matematica la promozione. E con l'aumentare dei pareggi mi irrigidivo sempre un po’ di più e mi appassionavo un po’ di più, ma la promozione rimaneva comunque una formalità. Nonostante diverse partite consecutive senza vittorie, a quattro giornate dalla fine, la Repubblica dedicava una pagina intera al miracolo di Sassuolo, ormai a soli tre punti di distanza dalla Serie A.


E da là, fino all’ultima giornata, di punti ne sono arrivati due. E io mi sono scoperto sempre più coinvolto, sempre più triste e preoccupato ad ognuno di questi sempre meno irrilevanti insuccessi. A tre giornate dalla fine la cosa ha cominciato ad influire seriamente sul mio morale, come non mi succedeva dall’adolescenza, quando la nazionale usciva puntualmente dai mondiali ai rigori. Ho cominciato a seguire il Sassuolo più del Milan, più delle gesta della Grande Coalizione, quasi più della mia vita personale, che il sabato pomeriggio si fermava per la giornata di Serie B.


Così, sabato prossimo i neroverdi si troveranno a dover pareggiare contro un fortissimo Livorno, che in caso di vittoria sarebbe promosso e appare decisamente favorito. Certo, il Sassuolo potrebbe anche permettersi di perdere, se Empoli e Verona non pareggiassero nello scontro diretto, evento che però sembra più che ovvio, visto che garantirebbe la promozione ai veneti e i playoff ai toscani. 


Così ieri, mentre vagavo spensieratamente con Lilù fra i monumenti dipinti di sole di Verona, mi stupivo preso da disagio, mentre passavo davanti a graffiti e bandiere inneggianti all’Hellas Verona, probabile artefice del “biscotto” che fra ormai pochi giorni inevitabilmente ucciderà i sogni di gloria della squadra malvestita di un paesino della Pianura Padana. 


Vien da pensare che aveva ragione quel tipo, quello che parlava della condizione umana. E in effetti considerate voi se questo è un uomo, che in vacanza al sole con la sua bella si trova a soffrire per una squadra di calcio che non è manco la sua.

lunedì 13 maggio 2013

Personaggi



Ho letto la biografia di De André, e ho pensato che al liceo non sono mai riuscito a trovare un personaggio in cui identificarmi come facevano i miei amici con Jim Morrison, Kurt Cobain o il miticissimo Che, e che se il mio giovane snobbismo non mi avesse costretto a ripudiare a priori la musica italiana, forse lo avrei avuto là, mortomi comodamente davanti l’ultimo anno di liceo. 



A un certo punto mi ero inventato Jack Kerouac come idolo, ma non ha mai funzionato. Ve l’ho già raccontata, vero, la storia di quando ho scoperto che per vivere sulla strada si faceva spedire gli assegni dalla mamma? Ah, e poi avevo imparato a memoria le prime pagine dell’Urlo di Allen Ginsberg. Poi quando alcuni amici facilmente impressionabili dalle tecniche mnemoniche avevano cominciato ad interessarsi alla poesia beat, avevo reagito secondo il mio copione tipico, prima concentrandomi solo sui poeti meno noti e poi trovandomi altri interessi. La poesia, mi piace come suona, ma non mi impressiona quello che dice. Purtroppo preferisco chi dice le cose chiare a chi si nasconde dietro la libera interpretazione. Dico purtroppo, perché la vita sarebbe molto più magica, riuscendo a prenderla un po’ di liricamente.



C'è un'eccezione: adoro Patti Smith. Non una grande poeta, ma un grande personaggio. Qualche settimana fa, quando sono stato a Roma, non mi pareva vero che suonasse là proprio in quei giorni. Era un po’ che la volevo vedere e anche a Tomas l’idea garbava. A dire il vero l’avevo già vista nel lontano 1999, tenero giovane me, ad un Pistoia Blues dove ero andato per i Jethro Tull ed ero rimasto per curiosità, per capire qualcosa sull’autrice di quella canzone che avevano rifatto in versione discoteca, mentre i miei amici andavano ad ammazzarsi di canne. Ricordo che avevo apprezzato l’esibizione, anche se non mi piace la musica pop [cit.]


Invece stavolta, a Roma, ha suonato per intero Gloria, che è sempre stabile in qualsiasi ipotetica classifica dei miei dieci dischi preferiti. Ha cantato anche Gloria, che da anni ha eliminato dai concerti perché a sua ammissione, cantare che Gesù è morto per qualcuno, ma non per me le ha sempre portato sfiga. Stavolta si monda dai peccati con ripetute dediche al papa che si chiama come Totti. Che in fondo, anche Sanfrancesco era un antesignano del miticissimo Che, giusto senza sigaro e serigrafia. E non ditemi che a lui la grafica gliela ha curata Giotto, che fra i giovani Giotto non può mica competere con Peter Korda o Jim Fitzpatrick.



Ecco, la Patti è sempre stata una che si è lasciata attrarre dagli idoli, dall’immagine. Per dire, lei ha cominciato a leggere Rimbaud perché le suonava bene il nome, e ogni volta che le si chiede qualcosa su di un artista parla del suo aspetto. Perfino qualche tempo fa su Rai 3, quando Fazio continuava a chiederle perché le piacesse Giorgio Gaber, lei ripeteva con semplicità e candore che era un grande personaggio e aveva un portamento da figo. E io provavo vergogna per lei, perché a uno, dargli del grande personaggio, sembra quasi di sminuirlo, come se le movenze nascondessero la voce. E invece oggidì lo sappiamo tutti, che i bravi sono troppi e la differenza la fa chi oltre che bravo è anche figo.

mercoledì 8 maggio 2013

Le facce della gente



Su Sky Arte c’è Baricco, che da un teatro di Roma tiene una serie di lezioni stile università. Lo scrittore, con quei capelli così grigi che sembrano blu, presidia la cattedra sul palco, e il pubblico gli sta seduto tutto attorno. Proprio dietro ciascuna delle sue spalle sono accovacciate due sorelle, forse gemelle. Una ha una faccia seria, molto maschile, al punto che il rossetto stona. Passa il tempo a guardare in tutte le direzioni, credo che la sua attenzione abbia ceduto molto presto. Respingo per pigrizia e pudore la tentazione di riavvolgere e studiare il momento preciso. 

Intanto l’altra sorella si sostiene il mento con la mano, col gomito appoggiato al ginocchio. Spesso, dal nulla, abbozza un sorriso. È concentrata, ma non sulla lettura, che fin da subito ha superato in corsa il ritmo dei suoi pensieri. Innamorata, si direbbe.

E poi c’è la signora che prende appunti, che ti chiedi perché prendi appunti? Non sei mica a lezione. E tutte le altre facce nel pubblico e io che non mi ero mai accorto prima di quanto sia facile leggere la stanchezza nell’espressione della gente.

Anch’io, concentrandomi su tutte queste facce, continuo a perdere il filo del discorso. È più forte di me. Mi affascina vedere la gente pensare libera. Credendosi inosservate, le persone si abbandonano ai gesti più naturali. Dopo un’ora e mezzo passata a guardare negli occhi questi sconosciuti, mi stupisco di quanto appaia grottesco, chi si lascia andare alla naturalezza.

sabato 4 maggio 2013

Per te che credi di puzzare di piscio



Ieri in TV ho rivisto la pubblicità di quel prodotto che promette di bloccare gli odori causati dalle piccole perdite di urina. Credo sia una specie di salvaslip, ma per l’attenzione che ho fatto potrebbe essere anche uno spray. Ricordo solo che è un prodotto unisex. Ora, se ci pensiamo bene, tutti sappiamo che l’odore delle piccole perdite non è abbastanza forte da essere percepito all’esterno, a meno che non si tengano le stesse mutande per una settimana. Ma è il modo in cui la voce della pubblicità lo dice, l’ovvietà con cui tratta l’argomento, che ti fa convincere che il problema esista davvero.

Così scopriamo un’altra necessità che non sapevamo di avere. Come se non bastasse il fatto che già ci laviamo i denti con il dentifricio con lo sbiancante e lo spazzolino che massaggia la lingua. Queste cose che peraltro non ho mai visto in un'altra nazione oltre alla nostra, sempre la più ipocondriaca, dove la gente si disinfetta ogni volta che si fa un taglietto, per prevenire infezioni, o sta a casa dal lavoro perché è raffreddata. O come la tipa che conosco, che lava l'insalata con il disinfettante prima di darla ai figli piccoli.

Capostipite di questa ossessione per la pulizia è ovviamente il bidet, oggetto per noi imprescindibile, ma che siamo gli unici al mondo ad usare. E avendo avuto l’onore di levare qualche mutanda straniera, posso confermare con sicurezza che nessuno dei soggetti in questione puzzava di culo.
Mutande che puzzano di pipì
Mutande che puzzano di urina


Nota: A fondo pagina potete sbizzarrirvi a studiare quantità e provenienza delle persone che capitano da queste parti cercando “mutande che puzzano di piscio” su Google.