lunedì 12 gennaio 2009

Chilometri su carta

Il 6 gennaio avevo già esaudito il mio proposto per il nuovo anno. Almeno in parte, quella meno complicata, ma decisiva, il punto di non ritorno.
Era la prima volta che mi ponevo un obiettivo per il nuovo anno e in realtà ci rimuginavo già da qualche mese. E il fatto che fosse legato alla scadenza annuale non deriva dal concetto psicologico di anno, ma da quello fisico di praticabilità solo in determinate stagioni.

L’obiettivo era quello di viaggiare finalmente oltre i confini europei. Lo so, non ci vuole tanto. Il fatto è che non mi sarebbe bastato prendere un volo per New York o Sharm-el-Sheik. L’obiettivo non era la destinazione, ma il viaggio stesso.
Non tanto il viaggio come avventura o prova di sé stessi, ma come fonte di stimoli visivi sempre diversi e come percorso, storia.
Un viaggio ha una struttura quasi narrativa, magari lineare, ma come molte opere racconta un percorso per raggiungere un traguardo.
Se vuole, sta al protagonista e narratore trovare un tema, un percorso che non sia solo geografico. E se è difficile da trovare è solo perché in potenza ce ne sono centinaia, intrecciati e mescolati. Un viaggio insegna sempre qualcosa. Uno ben assestato ti cambia facilmente la vita

Quando abitavo a Galway ho imparato ad affrontare la tristezza del tempo irlandese chiudendomi in casa a leggere letteratura di viaggio. Anzi, la parte più bella era andare da Charlie Byrne’s, sfogliare e annusare libri vecchi e sceglierne uno. Poi appunto, mi chiudevo in camera per immedesimarmi in quanto leggevo.

Un film non sarebbe bastato. Un film è già completo di immagini, mentre un libro invita a ricostruire mentalmente lo scenario. Trovo che gustarsi un piatto pronto su schermo sia un’attività molto passiva. Anche perché un film non dura più di due ore, mentre un libro ti accompagna per mesi, soprattutto se lo leggi con la mia andatura, cercando di non trascurare neanche un aggettivo.

Negli ultimi anni credo di aver idealizzato dentro di me l’idea del viaggio. La narrativa peregrina può essere umoristica o superficiale, ma contiene sempre qualcosa di poetico, romantico, decisamente fuori dai tempi. C’è sempre una ricerca, un obiettivo, quello che chiamo il tema del viaggio, che può essere spirituale, la prova di se stessi, curiosità verso l’altro, voglia di vedere cose nuove, rilassarsi, non annoiarsi, divertirsi, vantarsi con gli amici oppure ovviamente una miscela di questi ingredienti. Comunque resta il fatto che se uno è completamente soddisfatto di quello che ha, difficilmente sceglierà di isolarsi per un mese nel Serengeti. Magari andrà in vacanza a Sharm, ma come si diceva, se l’obiettivo è quello di bearsi ai raggi del sole, beh, lo poteva fare anche a Caorle. Non si tratta di viaggiare, ma di andare.

Il tutto detto con ironia, ma anche con il massimo rispetto, perché anche di sole e relax ha bisogno l’uomo. Se uno si fa un culo così per un anno davanti ad una putrellatrice o gestendo fondi d’investimento gli conviene andare a riposarsi in spiaggia, ma resta il fatto che se poi scrive un libro sulla sua vacanza al mare, non si tratta di letteratura di viaggio, perché la parte fondamentale della narrazione non è il viaggio, ma la meta.

La letteratura peregrina è un genere molto vasto, popolare soprattutto nei paesi di mentalità anglosassone. Inglesi, irlandesi e australiani sono grandi viaggiatori. L’inglese medio conosce pochissimo l’Europa, ma è stato sicuramente in India, Africa o Sudamerica. In realtà fra gli inglesi ci sono anche moltissimi viaggiatori superficiali, quelli che viaggiano come l’affascinante cazzaro Hemingway, per dimostrare qualcosa a se stessi o per vantarsi con gli amici, ma anglosassone (inclusi molti americani di estrazione anglosassone) è anche la maggior parte dei moderni pellegrini ad inchiostro. Tornerò sull'argomento in futuro.

Per me però i libri di viaggio sono un po’ come la fantascienza. Non sono mai uscito dall’Europa. Non riesco a concepire un paese dove i treni non arrivino relativamente in orario, dove serva un visto per essere ammessi e sia necessario stare attenti a cosa si ordina quando si mangia in un ristorante.

Per questo, con l’idea di fare un viaggio ci ho giocato per anni. Non ho mai avuto fretta. Temevo che il giorno in cui avrei varcato il confine per me la lettura avrebbe perso il suo fascino. Ma un po' alla volta la tentazione di trasformare la fantasia in realtà è diventata sempre più forte. Due anni fa mi sono concesso un ottimo palliativo con dieci giorni sulle strade del nord del Portogallo con un amico, ma forse anche per il fatto che l'anno scorso ho preso ferie solo per tornare nel mio utero alpino, questa volta ho deciso che il prossimo ciclo di stagioni sarà per forza quello giusto.

Così ho iniziato a pensarci sempre più seriamente. Il problema è che i posti dove vorrei andare sono troppi. Anzi, più che il luogo è il percorso che conta. E allora Camerun interiore a piedi come Dervla Murphy, che però l’ha fatto a cavallo, Sud-Est asiatico senza volare, come Terzani, Patagonia come un certo Max Mauro che se l’è fatta in bicicletta (Chatwin invece l’ho letto anni fa e mi ha annoiato la sua scientificità), la provincia statunitense di Bill Bryson, per quella va bene anche la macchina, in fondo non c’è nulla di più americano, la Guyana e il Madagascar degli animali di Durrell che mi leggeva mia madre quando ero bambino, vagare per l’Etiopia con Paul Theroux, lo Yemen o il Kurdistan che mi racconta la mia zia matta, troppo altro.

Ma non volevo andare da solo, per paura della solitudine. Avevo bisogno di un amico che si sapesse adattare ad un viaggio scomodo. Non scomodo per senso dell’avventura. Vorrei chiarire da subito che la ricerca di avventura fine a se stessa mi repelle. Scomodo invece perché come prima o poi tutti i libri che ho letto rivelano, è nelle situazioni più difficili che si incontrano le persone giuste e che si viene a contatto con lo spirito del luogo.

Scomodo però significa anche pericoloso. Io non sono uno di quei pazzi che si gettano incoscienti in qualsiasi impresa. Anzi, confesso di avere una specie di terrore di essere derubato, più un senso di violazione psicologica che timore per la perdita della sporca pecunia. E devo confessare una limitazione ancora più grave. Sono vergognosamente schizzinoso, la persona più schizzinosa che conosco, dopo mio fratello. Mi sto impegnando da anni a sconfiggere la paura di tutto il cibo che ha un aspetto molliccio e un odore forte. Ho ottenuto risultati, ma ancora fatico a tollerare il formaggio e la carne proveniente da parti bizzarre del corpo dell’animale. Soprattutto quest’ultimo ostacolo mi sembra rilevante, vista l’apparente propensione delle culture più radicate nella tradizione per zampe di gallina, stomaco di marmotta e amenità simili.

Ma non sopporto che a bloccarmi sia la paura di qualcosa che ha relativamente poche possibilità di accadere o una limitazione personale come l’apriorismo anticulinario, così cerco di farmi coraggio. Penso che essere derubati sia una grande lezione di vita e soprattutto di modestia, una dote che cerco di insegnarmi da autodidatta. E anche per il cibo sono riuscito a motivarmi pensando che sono già sopravvissuto diverse volte alla Francia, patria par excellence dei cibi strani ed olezzosi. E se poi fossi sfortunato, la fame mi potrà insegnare importanti lezioni di vita. Chissà sarei disposto a mangiare carne di serpente dopo due giorni senza masticare?

Così già a fine dicembre ho cominciato a cercare voli, inserendo destinazioni quasi casuali nei motori di ricerca, sperando di trovare l’offerta da ora o mai più.
Ma soprattutto ho cominciato a cercare compagni di viaggio, impresa ancora più ardua.

E poi ho trovato tutto: meta, compagno, volo, ispirazione, il 5 di gennaio. Il giorno dopo avevo già prenotato il volo.

3 commenti:

Felix Lalù ha detto...

quindi dove?come?con chi?

bastian contreras ha detto...

aspetta, aspetta, che arriva oggi o domani!

bastian contreras ha detto...

mica per tirarmela, eh, s'intenda.
giusto che se dico tutto ora mi rovino il prossimo pensiero (o i prossimi 2, sull'argomento non riesco a frenare le parole)