giovedì 1 gennaio 2009

Il superclassificacchio

Stavo per chiosare sulle classifiche dei migliori dischi dell’anno, ma poi ho pensato che nessuno ha mai preteso di prenderle sul serio. E allora perché renderle serie ridicolizzandole?

Stendiamo un pietoso velo di bianchetto e cominciamo da capo. Diciamo che anche se avessi ascoltato abbastanza roba nuova da poter buttar giù una classifica, credo che non avrei avuto la voglia di rovinarmi l’ascolto chiedendomi se un pezzo è meglio o peggio di un altro di tutt'altro genere.

Perciò cambiamo gioco. Una sola canzone, ma una per ogni mese. Spesso non la più ascoltata, ma quella più significativa, e qualche volta immagino ci scapperà qualcosa che manco mi piace. Una specie di calendario per impotenti, con gli spartiti al posto delle tette.

Gennaio è Bandiera bianca di Battiato. L’unico evento del mio ultimo inverno irlandese è stato incontrare Tomas a Dublino. In corriera, sul tragitto eterno che sega Ibernia in orizzontale, ho sviluppato una specie di ossessione per testo e musica di questa canzone. Battiato ha delle frasi fulminanti. Se provi a leggerle nel contesto della canzone di solito non significano una mazza, ma se le prendi singolarmente sono geniali. E poi anch’io a Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata.

Febbraio è difficile. Ricordo solo che il 20 gennaio le radio dicevano che qualche ricercatore aveva stabilito che era il giorno più deprimente dell’anno e io pensavo che era vero. Cazzo dico? Ora ricordo! La prima metà di febbraio l'ho passata a Londra, in missione per conto dell'azienda. Lo avevo rimosso, ma quella è stata la fine del periodo deprimente. Tredici strani giorni, perso da solo nei musei la notte, dopo lavoro. Vicino a Covent Garden realizzo una volta per tutte di non sopportare più le isole grigie. E che comunque c’è isola grigia e isola grigia e anche nella più grigia c’è grigio e grigio. Sfiga vuole che sia capitato proprio nel punto più grigio. Piuttosto che l’Irlanda è meglio la Mongolia. È Tabula Rasa Elettrificata, ma soprattutto M’importa ‘na sega.

Marzo se lo aggiudica Please, please, please, let me get what I want degli Smiths. Giovedì sera dopo lavoro, ricerca veloce di altro posto di lavoro e partitella con i colleghi. Pioggia, neve, vento. Nulla ci ferma, siamo irlandesi. In macchina, solo, nelle campagne scure che separano la mia bucolica città dalla collina dei campetti, mi perdo ancora dopo un anno che faccio la stessa strada e canto l’unica canzone che la mia voce bassa mi concede. Non si sta così male qui, ma è comunque ora di levarsi di mezzo.

Ad aprile giunge la lieta novella. Ho trovato lavoro in Olanda. Passo da generale a soldato semplice, guadagno un bel po’ meno, ma la cosa non mi tange. Nell’ultimo mese di lavoro non sono concesse ferie, ma mi concedo la pazzia di rompere le palle ai miei boss perché mi lascino tornare in Italia per mettere una X sul simbolo di un partito che non ha speranza. “Non tornerò mai dov’ero già, non tornerò mai a prima mai” vale doppio per me. Aprile va ad Irata dei CSI, che ha anche la dose di malinconia adatta per un addio, per quanto atteso.

Il 9 maggio sono in Olanda. La mia musica diventa quella che ascolto nei 70 minuti quotidiani verso l’ufficio e di ritorno. Musica rapida per svegliarmi la mattina e qualcosa in italiano che mi racconti la storia della buonanotte al ritorno. Il nuovo disco dei Baustelle a tratti fa pena, ma spesso è geniale. La scelta di scendere di grado pur di levarmi dai coglioni paga fin dall’inizio e Il capitalismo ha i giorni contati.

Le giornate di giugno sono lunghe, verso le venitrè il sole concede all'elettricità la sua parte di luce ed è blues portare una sedia sul terrazzo, aprire una Palm e leggere Mark Twain ascoltando Heartattack and Vine di Tommaso Aspetta.

A luglio finalmente ordino quel libro che aspettavo di leggere da anni. Please Kill Me, the Oral History of Punk di Legs McNeil diventa un’ossessione (vedi svariati post precedenti) e, come direbbero i migliori viggei di Emtivì, ora ci becchiamo Love Comes in Spurts di Richard Hell e i suoi Vuotoidi.

Arriva agosto e cerco un po’ d’Africa in giardino. Dervla Murphy (Travels with Egbert) è irlandese e talmente alcolizzata da ubriacarsi spensieratamente ogni sera anche nell’entroterra del Camerun, sola con la figlia e il cavallo. Fra Bamenda e il deserto dei Tinariwen c’è qualche migliaio di chilometri, ma ho la scusa di prepararmi per il concerto. Il miglior concerto dell’anno. Amassakoul è la prescelta.

A settembre la grande rimpatriata. Per il matrimonio di Tobias e per ritrovare Federico, vado in Francia, a Vesoul, già decantata da Jacques Brel nell’omonima canzone. Comunque pare che ci sia una Vesoul anche in Belgio.

Ottobre è per forza di cose il mese dei Sonic Youth. Decidono di suonare a Bolzano il giorno del mio compleanno. E che, non ci vado? Ci vado, ci vado. The Diamond Sea la spunta su The Empty Page e Disconnection Notice.

Fra una cosa e l’altra quest’anno ho ascoltato parecchio Capossela. Ma ci vuole del tempo per superare il mio pregiudizio verso uno che ai tempi dell'università era il grande idolo dei più stereotipati dei centrosocialisti. All’inizio mi sembra che scriva testi stereotipati su basi jazz e blues che sanno di standard. Ma a novembre mi accorgo di sbagliarmi di brutto, oh quanto mi sbaglio. La nomination va all’Accolita dei rancorosi.

Dicembre dovrebbe andare a Three Sisters di Jim Carroll. Invece no, va a Suds & Soda dei dEUS, indipendentemente dal fatto che li abbia visti in concerto in questo mese. Suds & Soda è la canzone dell’anno. È l’unico esempio a me noto di brano perfetto, la struttura varia di continuo con parti decisamente eterogenee, ma integrate perfettamente. I violini, il secondo chitarrista che ripete "Friday" ad libitum (qualcuno si è preso la briga di contare, pare che lo urli circa 250 volte), l’assolo di tastiera, il testo assurdo che parla di acqua minerale saponata che si miscela perfettamente con la birra, sono tutte trovate geniali per un pezzo che da solo è in grado di mettermi la tachicardia peggio di sette caffè corretto vecchia. Grazie agli dEUS, nel giorno che tutti noi secchioni musicali attendiamo, quello in cui qualcuno ci chiederà "qual'è la tua canzone preferita di sempre?" io sarò l’unico a sapere cosa rispondere.

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