lunedì 31 maggio 2010

Oh oh, cavallo! (ci risentiamo tra un paio di settimane)

C’è stato un periodo in cui per scherzo, neanche tanto per ridere, se mi andava di localizzare un posto assurdo, nominavo l’Uzbekistan. Tipo che se la gente mi chiedeva dove lavoro, dicevo “Chiesavecchia sull’Amstel, fra Amstelveen e l’Uzbekistan”.
Era il periodo in cui Lilù stava diventando coinquilina 2.0, votata al risparmio energetico, perché grazie alla condivisione della camera da letto mi permetteva di consumare meno.

Poi erano venuti a trovarmi Tomas e Nicola e il giorno prima che arrivassero le avevo confidato che avremmo organizzato il nostro viaggio in Brasile.
Alché Lilù sbarra gli occhi che sembrano la copertina di Pulse dei Pink Floyd, arriccia le labbra e fa “Ma come, non mi porti più in Uzbekistan?” Io so stare ad un buon scherzo e le dico “Lilù, monamù” ma solo perché fa rima, perché io sono nato in Val di Non e noi si sa abbiamo il cuore come la roccia. Che poi la roccia di dolomia sia rosa e friabile come il panvecchio, sono speculazioni capziose ad opera di certa sinistra tuttora legata a posizioni di stampo veteromarxista (R. Schifani). Comunque le dico “Lilù, monamù, ma certo che ci vengo con te in Uzbekistan, poi già che ci siamo facciamo un salto anche in Chirghizistan, Turcmenistan, Tagichistan, ma Cazachistan no, che l’ha già reso scontato Borat”.
Il fatto che mi avesse risposto che per un paio di settimane un solo Stan sarebbe stato più che sufficiente mi aveva fatto realizzare di avere fra le mani una tipina tosta che sa prendere sul serio una buona cazzata. E se c’è una cosa che apprezzo, più del vino buono, più della giovinezza, è la coerenza di prendere sul serio una buona cazzata.
Ero rimasto interdetto giusto il tempo di sollevare il pomo d’Adamo per inghiottire un’idea vecchia e le avevo detto “Sticazzi [italiano nel testo, N.d.R.], trasformassero l’Amazzonia in mobilia per i narcos. Uzbekistan sia".

Poi si scopre che Tomas non ha una corona perché ha appena comprato casa, mentre Nicola ha problemi con le ferie. Un mese dopo il volo è prenotato, complice un inverno prolungato che ti fa venir voglia di fare cose abbastanza pazze da farti dimenticare il qui e ora e fra due giorni si parte.

Però sembra, ma non è che si vada a caso. È che prima di prendere il volo, a guardare foto, leggere libri, ci si accorge di quello che si sta per andare a vedere. Da buon italiano guardo prima i monumenti, e mi impressiono subito a vedere moschee con minareti, mausolei e madrasse a Samarcanda, Chiva, Buccarà (lavvia l'ortografia te la decidi tu, quindi tanto vale scrivere in italiano). E poi c’è la storia, gente che è mongola, sciita, cristiana, sunnita, animista e zoroastriana, ellenica e turca, con un collante sovietico che annacqua le posizioni e rimescola le etnie. Montagne dove crescono i tulipani selvatici (che visto da qui, pare che i tulipani crescano solo sotto il livello delle dighe), il deserto del Chisilcùm e il Lago d’Aral che si ritira in una Stalingrado ecologica, insabbiando navi a cento chilometri da un’acqua che per fertilizzare i campi di cotone diserba tutto il resto. E ci sono nomi, nomi che suonano come se la loro stranezza li rendesse impossibili da visitare. La provincia autonoma del Karakalpakstan (altro che quella di Bolzano, che per suonare importante ha bisogno di tre lingue), Jizzakh, Quoquand, Shahrisabz, Chiziltepe e Qurgonteppa, e il fiume Syr Darya, che Alessandro Magno chiamava Oxum, come n gruppo punk o una marca di jeans. Perché Alessandro Magno magari non ascoltava il punk e non vestiva jeans, ma fin là c’era arrivato, senza volare Aeroflot. E c’erano nati Avicenna e Tamerlano, c’erano passati Marco Polo, Ibn Battuta, uno scazzatissimo Vittorio Sgarbi (non scherzo mica, vedi questo) e un paio d’altri, ma mica tanti, perché la strada c’era, e il fatto che fosse la Via della Seta non deve far pensare che sia stato molto morbido passarci, fra l’Afghanistan e il Taklamakan.

Quindi si parte, e si sta via un paio di settimane, “col tuo bello in capo al mondo”, come ha detto la mamì di Lilù, che non mi ha ancora visto e presume che la graziosa nipotina stia per forza con un bel figliolo, mica con un montanaro che le insegna a bestemmiare.

Si parte e si torna, il giorno prima della partita con la Nuova Zelanda, che i mondiali, si sa, sono i mondiali.

4 commenti:

Aria ha detto...

Fantastico! Fa' buon viaggio e, mi raccomando, anche tante foto che son curiosa ;)

Anonimo ha detto...

Guarda che il paio di settimane è passato da un pezzo, son qui che aspetto.
Ossequi
Mia

Anonimo ha detto...

Allora?! Ti hanno rapito dei nomadi a cavallo e portato nelle loro tende rosse a bere latte di yak? Non hanno una connessione veloce 'sti nipoti di Gengis Khan? Guarda che il tuo contatto dal Vaticano ha espresso le sue preoccupazioni per te domenica all'Angelus...

Aria

bastian contreras ha detto...

Ringrazio tutte per il sostegno.
Sono quasi tornato e in fase di digestione calcistica.