mercoledì 26 maggio 2010

Misurare il tempo

Ci sono secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, anni, mondiali di calcio, lustri e decenni.
Forse il modo più efficace per misurare la vita è il mondiale di calcio.

Nell’Ottantadue avevo un’età che fino a quattro anni fa, ogni volta che le prendevamo ai rigori, non ho mai smesso di maledire i genitori per non essersi sposati un paio d’anni prima.
Dell’Ottantasei ricordo più che altro l’album Panini. Ai tempi sapevo tutte le formazioni a memoria. La mia passione per le nazioni assurde era in piena e tifavo Iraq, che ai tempi non era ancora il Male. L’Italia c’era, non c’era, ricordo Altobelli, perché mi piaceva il nome. Il 2 a 0 che ci hanno smollato i francesi è uno dei miei primi ricordi calcistici, il primo esempio di frustrazione per una situazione che ti sta davanti, ma non puoi far nulla per cambiare.
Il Novanta invece me lo ricordo tutto e bene. Mio padre aveva caricato la tv sulla Passat rossa e si guardavano le partite dalla Sardegna, nel bùngalo con i vicini umbri, con quell’accento che anche gli adulti parevano un po’ bambini.
Il mondiale in Italia era una cosa non da poco. Mi ero preparato studiando le formazioni, memorizzando gazzette e inserti speciali. Le partite in tv però non riuscivo a guardarle, la mia soglia di concentrazione non aveva ancora raggiunto i 90 minuti. In semifinale ero uscito di casa sull’1-0, nella Gallura ancora più deserta ed ero tornato appena in tempo per il pareggio. Eravamo diventati grandi, ma non ancora maturi, l’Argentina aveva vinto ai rigori.
Nel Novantaquattro Zola, Signori e io non si sa se ci si era o ci si faceva. Però quatti quatti eravamo in finale. Che potessimo vincere, ho iniziato a crederci solo all’inizio dei rigori, tardi per vivere l’attesa e la speranza, ma appena in tempo per la delusione. Era un po’ così, i mezzi c’erano, ma non ci si credeva. Materiale da sfruttare, come una piana alluvionale appena scoperta in mezzo al deserto. S’era in Toscana, ai tavolini di un bar, a prendere per il culo i tedeschi, che le avevano prese dalla Bulgaria. In spiaggia leggevo il mio primo Kerouac, lo capivo perfettamente perché non cercavo di capire nulla. Baggio invece ho iniziato a capirlo solo anni dopo, quando Capello non lo faceva giocare.
Nel Novantotto ero in Interrail, s’era vista una partita sola, quella noiosissima con la Norvegia, in un bar di Madrid. Tifavo Di Biagio e la notizia funesta mi era arrivata sul Talgo da Madrid a Barcellona, nelle valli desertiche dove Leone girava i western, che se ora viaggio per deserti lo devo anche a quello che si era visto da quel finestrino là. "Francia ganò, de penalti”. La nazionale era come me, materia oscura.
Nel Duemiladue ero nella parte buona della vita, già da un Europeo. Nell’aula magna della Scuola Interpreti di Forlì, la migliore nazionale che abbia mai visto, insieme ad un me stesso agguerritissimo, partiti col favore dei pronostici, ci schiantiamo contro ostacoli inattesi. Io poi non ho neanche la scusa dell’arbitro bestia. Però la risalita era cominciata altrettanto inattesa, tanto è vero che nel Duemilasei, in versione molto più silente, l’avevamo vinta contro ogni previsione. Bastava che alla testa della squadra ci fosse una mente lucida. Lo stesso valeva per la mia, di testa. Ero a Galway, in finale, con altri 10 italiani contro duecento barbari della genia di Asterix, con la gola rauca per il freddo irlandese e le urla che tre giorni prima avevano cercato di coprire quelle di duecento tedeschi. Durante i festeggiamenti, il capo degli scout italiani ci aveva chiesto di smorzare i toni, così che i suoi pupilli potessero andare a dormire, ma i pupilli brandivano un bandierone irlandese con l’arancio tinto di rosso e lo stavano issando sul lampione di Shop Street. Noi al capo gli si rideva in faccia, perché – poverino – lo stava vivendo senza averlo capito.

E la storia sarebbe dovuta finire così, perché quando raggiungi il vertice troppo presto, facile facile che cadi. Lippi non sembra aver capito, io sì, ma questo non significa che sia corso ai ripari.

Intanto laggiù nel paese del Ma, la moda è tifare contro, perché fa sempre piacere stare dalla parte del “te l’avevo detto, io”. Ma in verità, in verità vi dico che se le previsioni per quest anno non hanno il colore della Gazzetta, non dipende da Cassano e Balotelli.

3 commenti:

Aria ha detto...

'82: in Sicilia, subito dopo la poppata della sera.
'86: perché ci sono stati i mondiali?
'90: libretto di barzellette di Topolino a sfondo sportivo... ah no, quello erano le olimpiadi a Barcellona due anni dopo. Allora adesivo del "Ciao" all'interno dell'anta dell'armadio.
'94: in montagna con l'oratorio.
'98: nel salone dell'oratorio.
'02: appena tornata dal Canada, non me ne fregava nulla.
'06: a casa con commento della Gialappa e festeggiamenti paesani.
Grazie, questo post è bellissimo :)

Anonimo ha detto...

anche a me questo post é piaciuto parecchio...a parte una cosa: io ho un vago impercettibile offuscato ricordo dei Mondiali ´78,e questo mi fa sentire lo stacco generazionale. Ricordo solo le polemiche contro Zoff che secondo alcuni avrebbe avuto problemi di vista (da lontano). E le divise attillate bellissime, i nomi di due olandesi Willi e René Van de Kerkhof e un argentino coi capelli lunghi e neri e coi baffoni (chissá chi era).
L´82 giá é piú chiaro, ma poco: ricordo un certo Eder e forse la prima volta che ho provato cosa significasse mit-leiden, o empatia che dir si voglia, al rigore sbagliato da Cabrini. E poi il grande Pertini. Che nel frattempo, alle medie, ci facevano leggere i suoi scritti dal carcere.
Nell´86 secondo me i mondiali non ci sono stati, e Aria me lo conferma.
Del ´90 ricordo che seguivamo tutte le partite in gruppone bandierato al ristorante di un amico a Gardolo, ma vigliacco se me ne ricordo una. Vago ricordo di qualche rigore.
Nel ´94 devo aver avuto di meglio da fare, e nel ´98 ero in Argenitna con Baggio.
Per quelli del 2002 ho dovuto chiedere ora all´uomo di casa, perché non ricordavo nemmeno il paese organizzatore. Devo assolutamente chiedere a qualche amica del cuore dove cavolo ero, in quell´anno (ma é un problema solo mio, di non ricordare cosa facevo in che anno?).
2006: beh, quelli sí che me li ricordo, eccome: con una bimba di 4 mesi, due bandierine dell´italia e della Germania incollate vicine vicine sulla finestra ed una piazza tedesca con forse dieci italiani in tutto, e parecchi francesi. Che goduria, proprio da rivalsa-dell´emigrato...
claudia

bastian contreras ha detto...

Mario Kempes. L'eterno ribelle, finito a giocare nelle serie inferiori italiane.

Belle queste cronistorie, ve lo ho detto che il mondiale di calcio è la misura della vita.