sabato 15 maggio 2010

Oriundo io

Mi hanno sempre divertito quegli italiani nati o cresciuti all’estero che per sentirsi sicuri nel loro marchio di italianità fanno i più italiani fra gli italiani. Poi tempo fa il sospetto, che ora troppi indizi hanno trasformato in ovvietà: sono ufficialmente uno di loro.

C’era sto tipo, quando ero a Colonia, un italiano nato in Germania. Tullio, si chiamava, parlava solo di sole, cucina, gente aperta. A lezione di italiano prendeva per il culo i tedeschi ad ogni errore, perché parlare italiano era l’unica cosa che sapesse fare meglio degli altri, l’unica per la quale sentirsi superiore.
Poi un giorno mi racconta che nella sua amata Italia una volta ci si era trasferito e candidamente ammette che dopo tre mesi era tornato indietro (sì, però vuoi mettere il tempo, la pizza, la gente che fa festa in piazza?).
Non stava simpatico a molti, sto Tullio, tra sole, cibo, gente aperta. Quando lo sentivi parlare con i suoi connazionali tedeschi ti vergognavi della tua azzurrabilità. E capivi l’origine di molti stereotipi.

Ora invece sto focalizzando sensi, chakra e balle varie nello sforzo di trattenermi, perché certi discorsi cominciano a sfuggire anche fra spifferi impercettibili nelle mie corde vocali. Sento l’aria calda che si libera, premo le labbra, stringo i denti, schiaccio la lingua contro gli alveoli come il mozzicone di una sigaretta da spegnere, ma – ops – mi è scappato. Sarà che qui si mangia pesante (ah, la buona cucina italiana), sarà anche colpa del tempo, perché per metà maggio è un freddo boia.
E comunque il lunedì sera, al telefono, quando i miei mi dicono che anche giù da loro di notte quasi gela, faccio finta di non sentire. Lamentarsi è gratis e voglio farlo al massimo delle mie potenzialità.

E tornando al mangiare pesante, il peggio lo do proprio quando si mangia in compagnia, al ristorante o in ufficio. Comincio a pontificare su norme e regole della cucina italiana, poi, quando torno in Italia mi accorgo che anche là, non è che seguano le mie prescrizioni proprio alla lettera.

E poi c’è la musica, perché fin qui arriva solo quella che tranquillizza gli autoctoni, confermando la loro immagine d’Italia. Invece ieri sera in pizzeria avevano sto disco con le hit del 1998 o giù di lì. C’era Vasco e mi sono sorpreso per una volta compiaciuto a sentire quella voce familiare. Poi c’era quella dei Lunapop, che dice che c’è qualcosa di grande fra di noi, e io là a fare del revisionismo storico, che la voce non è poi così male e la canzone ha una metrica piuttosto scorrevole, tanto che mi sono messo a disquisire, davanti a Lilù, parlando di Vespe 50 e del rewind, che non dice riuàind, ma proprio reuìnd, e poi non si sa bene cosa sia tutto il necessario. E lei là orgogliosa, del suo amico esotico, che parla con i camerieri dei ristoranti etnici nella stessa lingua e di argomenti comuni. Anche il fatto che con i camerieri – e non solo con loro – si termini sempre a parlare di crisi, governo, lavoro, pare faccia molto esotico e porti a riflettere su come spesso ci si lamenti della buona vecchia Francia, ma in fondo ci sono posti dove si sta peggio. Ed è anche colpa mia, perché non lo ammetto spesso, che se sono all’estero non è perché in Italia non si trova lavoro. Non so, forse mi sembra disprezzo verso chi davvero è partito per questo motivo.

Stamattina mi accorgo che con oggi sono qui da due anni. E pensare che credevo che ce ne volessero almeno venti. Forse dovrei tornare a casa più spesso, invece di parlarne e basta.

2 commenti:

Aria ha detto...

Volevo solo ricordarti perché te ne sei andato e poi smetto di fare la protagonista dei tuoi post.

http://www.youtube.com/watch?v=WBqq2sDBE-A&feature=player_embedded#!

bastian contreras ha detto...

Il video sono riuscito ad intravederlo a mala pena.
(Comunque i commenti ai post fanno sempre piacere!)