sabato 26 giugno 2010

Slovacchia

Proprio come la vita, anche le sue migliori metafore possono riservare sorprese.
Anche se sai di essere preparato, anche se è ovvio che non può andare come quattro anni fa, e infatti mezza Italia ha giocato d’anticipo e ancora prima di partire ha posto la firma in calce al proprio Te lo avevo detto. E poiché il carro dei vincitori tira più di uno di buoi, la moda dell’estate è tifare contro (attendo articoletto sulla colonna destra di Repubblica.it).

Un italiano all’estero non può tifare contro, ma può prepararsi psicologicamente. Metti in conto l’ovvio pareggio con la Nuova Zelanda, visto a casa de Davide, con i genitori suoi collegati tutto il tempo via Skype e il gaudio degli ospiti stranieri, perché la cosa fa tanto etnico italiano e fa colore dire "ho visto l'Italia con degli italiani veri”, mangiando caprese con le olive al posto del basilico.

È all’ultimo che anche il più previdente degli spiriti deve capitolare. Il pronostico sembra ovvio: se bastano tre pareggi per qualificarsi agli ottavi, cosa potrebbe essere più tipico della nostra nazionale di farlo? Minimo sforzo, massimo risultato, zero fatica. Poi magari si incontra il Giappone e lo si sottovaluta abbastanza da uscire là, ma per ora non esistono poi e l’importante non è vincere, ma fare meglio della Francia.

Così uno si prepara. Con la fortuna di avere un datore di lavoro che è un ex telecronista, basta lavorare una mattinata a ritmi da tigre asiatica per purificare la posta elettronica. Già alle 3.30 la giornata è virtualmente finita e, insieme alla collega slovacca, comincia uno snervante prepartita. Il rischio non è perdere, ma che l’altra partita non termini in pareggio, così che ci tocchi vincere per qualificarci.

L’inno slovacco risuona di consonanti dissonanti nel cucinino dell’ufficio di Chiesavecchia sull’Amstel. Quello italiano meno, perché pronto alla morte in caso ci sarai tu. Seguono dieci minuti nei quali i ragazzi sembrano esserci e la prima emozione arriva all’undicesimo: la caporeparto fa il suo ingresso in cucina, con lo sguardo sereno di chi non tifa per nessuna delle due squadre in gioco. Quando mi invita a tornare al posto di lavoro perché il Cliente ci ha mandato dei commenti sulla traduzione finlandese del suo sito, penso ad un’email da inviare al traduttore, e poi si torna davanti alla tv.

Invece no. Pare che qualcuno abbia pensato bene di fargli sapere quanto facesse schifo la nostra traduzione, tanto da richiedere di poter accedere al sito in inglese. Mentre scopro di essere inseguito dalle tre cariche più rompicoglioni dell’azienda, da tre capi del globo, sento un urlo. La voce roca da koala della slovacca, accompagnata dal fischio della spagnola solidale alla causa non lasciano dubbi. Gol, cazzo, gol, e a me della traduzione finlandese che me ne frega più?

Ma la caporeparto non è dello stesso avviso. Dopo mezz’ora di telefonata nella quale mi si chiede solo – ma in compenso ripetutamente – come sia potuto succedere il misfatto, l’unica domanda alla quale non posso rispondere, mi viene richiesto di contattare tutti i traduttori finlandesi, sottoporli ad un cazziatone verbale e cartaceo, richiedere i civvì e cercare qualcuno che possa tappare i buchi revisionando con estrema urgenza, peraltro nel periodo dell’anno in cui la Scandinavia è chiusa per celebrare la festa pagana dell’estate.

Non so a cosa pensare. L’immagine della faccia bovina di Di Natale mi impedisce di concentrarmi. Quando mi chiamano da Londra non posso fare altro che chiedermi se Buffon sarebbe stato in grado di parare il tiro sul gol e riesco solo a rispondere sì, sì ad ogni ordine, richiesta e insulto.

Probabilmente anche il mio interlocutore deve aver sentito il mio nome, urlato con voce marsupiale dalla cucina, in occasione del secondo gol slovacco. Forse scambiandola per quella irata del capo dei capi, pronto a somministrarmi quello che mi merito per l’errore degli errori, vengo lasciato quasi subito libero di correre incontro alla mia sorte.

A questo punto, sul due a zero, mi rassegno, meglio così, torno a lavorare, ma quando arriva il 2-1 il mio povero, emozionale, cuore nordlatino, mi impedisce di proseguire in qualsiasi cosa, partita o lavoro. Non potendomi smaterializzare, scelgo la più passiva delle due attività e mi rannicchio sulla poltroncina ad insultare a turno gli ex eroi di Germania 2006. La caporeparto è al telefono, coinvolta in una nuova serie di “come è potuto accadere” e posso rimanere indisturbato fino al terzo gol slovacco, quando, in silenzio, somministro la giusta lezione ad un rotolo di carta igienica e me ne torno a sfoltire l’inbox.

E poi arriva il 3 a 2 e il resto è solo violenza verbale, forse più contro chi lo ha segnato rigettandomi nella frustrazione della speranza inesaudita.
Al termine della partita la commozione è tanta. A Londra neanche si rendono conto che il loro rischio di perdere un Cliente importante ha la dimensione di uno dei mille occhi di una mosca in confronto al mio dolore biancorossoblu, come i colori di Paraguay, Nuova Zelanda, Slovacchia.

Il giorno dopo, in ufficio, ci si renderà conto che la traduzione cannata non è frutto delle nostre preziose risorse, ma opera di un’altra agenzia. Meglio così, avrei rischiato di vedere tutta la partita.

1 commento:

Aria ha detto...

Perlomeno da lì ti sei perso "Le Polemiche".
Bentornato, Bastian.

ps: ma tu ci sei su Biblit?