domenica 5 luglio 2009

Sulla falsariga del jazz

Ho avuto un’adolescenza ritardata. È scoppiata quando credevo di esserci già passato, più o meno a metà liceo. Mi sentivo maturo, ma ero adolescente. Me ne accorgo ora.

Come tutti i figli di quelle che avevano appena smesso di essere famiglie comuniste ed erano rimaste semplicemente di sinistra, veneravo Kerouac e tutti i suoi amici battuti. Ai tempi ero battuto pur io. Come molti adolescenti, con la vita ero sotto di un paio di gol e per ottenere il pareggio mi ispiravo ad altri. Altri che invece non si ispiravano a nessuno, perché erano loro stessi un modello vincente. E squadra che vince non si cambia, così ogni tanto uno di questi lo rivedi e pensi che sia rimasto uguale ad allora. E quando ci si incontra si parla solo dei vecchi tempi. Lui rievoca i cari vecchi tempi, io rivango e penso che è stato bello, ma mai più, grazie.

Ai tempi mi ispirava l’idea di scrivere, ma non mi passava nemmeno per l’anticamera del pancreas di farlo. Diciamo che progettavo aspettando il giorno in cui lo avrei potuto fare, ma senza ammetterlo, immaginavo che quel giorno non sarebbe mai arrivato. Al massimo me ne uscivo con terribili parodie di America di Allen Ginsberg per i giornalini della scuola. Piccola parentesi: fra i giornalini della scuola, memorabile (per me) “Schifo”, edito insieme al futuro Felix Lalù, con interventi da segnalare dell’altrettanto futuro cantante degli Stone Martens. Memorabile la copertina con l’immagine di una Lady Diana appena defunta, coperta da foglietti con le mille barzellette appena uscite sulla principessa dei tabloid. Fu un preside cattivo cattivo a farci chiudere, e neanche per la Diana, ché quel numero non era ancora uscito.

E come il solito mi sono perso, perché in realtà volevo parlare di jazz. In quei tempi, mi ero comprato Scrivere Bop di Kerouac, l’avevo letto senza capirci una parola, ma era l’idea che mi interessava: scrivere secondo uno stile musicale. È un’idea che mi è rimasta e ogni giorno penso che la prossima volta lo farò, e un giorno lo farò. Intanto aspetto, fiducioso. Ma la verità è che la metrica è noiosa.
Anche diciotto righe fa ero convinto che stavolta, per la prima volta avrei scritto bop, ma tempo di scrivere "Ho avuto" e l'idea è uscita sul terrazzo ed è caduta giù, nel giardino della signora del piano terra, forse nello stagno dei pesci rossi, insieme a cinque fiori rosa secchi e alle unghie delle mie mani, accompagnata dalla convinzione che bop è tutto e niente.

Comunque più che bop, mi piacerebbe scrivere jazz. Non tutto il jazz, non la roba pretenziosa, ma il gezz, quello che mi piace a me, che di tennica me ne sbatto veramente poco, per forza di un orecchio atrofizzato. Tipo che potendo scegliere mi piacerebbe scrivere come Coltrane in A Love Supreme, oppure Duke, Take the A-Train, Caravan, Far East Suite, tutta robetta con un certo ritmo. Miles invece mi dispiace per lui, oppure a chi lo conosce dispiacerà per me, però ci ho provato con Kind of Blue, niente, Sketches of Spain, poco, Birth of the Cool, nulla. Bitches Brew invece mi tira scemo, in senso positivo, ma non sempre uno è in vena di farsi tirare scemo.

Comunque la questione gezz sale alla ribalta perché Orelì I (la mia collega di Galway, non quella di qui. Si sa, i miei colleghi hanno sempre gli stessi nomi) mi ha regalato un libro di Vian, che era uno che scriveva jazz, nel senso della musica, ma anche dei libri. Però come lo scrivesse sto jazz, nel senso dei libri, non della musica, la cosa un po’ mi sfugge, perché per leggerlo ho bisogno di due mani: una per la schiuma dei giorni e l’altra per il Langenscheidt anglogallo giallazzurro trovato al Lidl di Galway per cinque iuro.

Insomma me lo leggevo sta settimana sul terrazzo mentre mi impadronivo del poco sole che scappa dalle tasche parche e bucate dell’estate nordica. Giovedì sera me lo sono portato anche alla spiaggetta di IJburg, ma forse ero un po’ ridicolo con il dizionario del Lidl e il libro in due mani diverse. Da lontano poteva sembrare che leggessi due libri contempraneamente, di cui una poteva essere una bibbia giallo uovo, oppure, beh, un dizionario.

E intanto me lo leggevo, sto libro, e più che gezz ci vedevo alta cucina, è incredibile come i francesi amino parlare di cibo. E di vestiti. E ogni tanto si nominava il vecchio Duke.

Forse è così che si scrive jazz, sparando nomi di artisti. È una caratteristica di questo genere, come basti dire “Miles”, “Trane”, “Duke”, “Bird”, “Mingus”, “Thelonious” per creare un alone di fumiglia neroviola e sentire un sax in sottofondo. Se scrivo “Stones”, “U2”, "Clash" o "Baglioni" l'effetto non è lo stesso. È che il jazz è apparenza più di quanto sembri. Ad esempio, prendi un Coltrane, sono sicuro che sarebbe altamente magliettabile. Morto giovane e maledetto, non sarà il Che o i Metallica, ma lascia perdere, che la sua aura ce l’ha anche lui. Intanto il jazz si accontenta dei milioni di pittori e scultori che esercitano la professione sotto la sua influenza. Sempre jazz e non folk o metal, ché se vuoi essere boemo ci devi passare per forza. E mi sa che alla fine è questo che significa scrivere jazz. Scrivere qualsiasi cosa e dire di averlo fatto ascoltando uno dei nomi soprasparati. Una frase lunga potrebbe essere un assolo, una breve uno di quei “prot” che vengono tanto bene con la tromba. Tutto e il suo contrario, ma fatto ascoltando il giezz e possibilmente buttando là qualche nome di artista.

6 commenti:

Felix Lalù ha detto...

cazzo, schifo non melo ricordavo. enon miricordo neanche cosa c'era dentro. mi ricordo però di quando cissiamo trovati per farlo nel cerchio inutile sotto la piramide di vetro, li tra le due scuole.
a(non)marcord

ps: io ce l'ho na maglia di coltrane,eheh

ps: m'è andato a puttane il pc. appena si ripiglia mi scolto la traccia. buone!

Anonimo ha detto...

jazz...io ho visto un unico concerto, all´arena di Verona, nella mia vita precedente: c´erano di sicuro Dizzy Gillespie e Miles Davis, piú un paio di altri molto ma molto bravi e allora a me sconosciuti. E suonavano pure tutti assieme. Uno spettacolo! Mi chiedo come mai non sia diventata un´appassionata di jazz, in effetti... Tutto questo per dirti:
"Ti prego, noooo, ti straprego...non tagliarti le unghie sul balcone, che c´é un posto chiamato bagno, per questo!!"
(scusa lo sfogo, ma quando ancora abitavo in Italia e avevo un balcone al primo piano mi pioveva sempre di ogni...che schifo!)
salüti
adelaide

Anonimo ha detto...

max roach...ecco chi era...che batteria!
adelaide

Ivano ha detto...

nemmeno io mi ricordo bene di "schifo", per non dire affatto (ossia non ricordavo di aver prestato il mio formidabile ed indispensabile intelletto alla causa...). urge un aggiornamento da parte tua!
ps. è andato a puttane pure il mio di pc, router bruciato. guarda caso mentre gli stone martens accompagnavano felix lalù sul palco. caso? destino? avvertimento mafioso? Ai postumi lardo sentenzia!

bastian contreras ha detto...

dunque, le unghie sul balcone perché una volta mia madre aveva letto da qualche parte che le unghie fanno bene per concimare i fiori, così per un periodo (perché mia madre è una studiata, dopo un po' si è accorta dell'inutilità del gesto) a casa mia ci si tagliava le unghie sui geranei del poggiolo.

il giornaletto invece ogni tanto mi capita in mano quando sono a casa. uno spettacolo nella sua illuminata vuotezza (non c'era neanche un vero articolo).

Anonimo ha detto...

ahhh...non é che per caso ho finalmente incontrato quello del piano di sopra che mi condiva l´insalata di riso amorevolmente preparata sul tavolino in vimini del mio balcone?
ma ti ho da molto perdonato....
ciao!
adelaide