mercoledì 15 luglio 2009

L'importanza dei tappi dei succhi Valfrutta sulle sorti del mio destino

Quando ero piccolo avevo una specie di timore reverenziale per la persona che sono ora.
Il limite erano i vent’anni. Mia mamma mi aveva detto che la prossima puntura mi sarebbe toccata alla visita di naja, a vent’anni e la soglia era quella, prima e dopo il grande dolore.

Quando ero piccolo avevo paura che a vent’anni mi sarei rinnegato, non mi sarei ricordato niente dell'infanzia e mi sarei vergognato di quello che ero stato.

Ora un po’ mi dispiace per quel bambino timido e saputello, che in fondo non era poi così cattivo. Aveva grandi interessi che duravano per un periodo limitato, nel quale riusciva ad immagazzinare tonnellate di dati sfogliando i libri della biblioteca di casa. Così ai tempi c’erano i succhi di frutta con i tappi con le bandiere del mondo e lui intorno ai 5 anni, in pochi mesi le aveva imparate a memoria, con tanto di nome nella lingua locale, ché l’Egitto a casa sua lo chiamano El Misr e l’Albania Shqipeira (ma lui approssimava a Scopeira).
Poi c’erano stati i passaggi ovvi con calcio, dinosauri, animali e verso la fine delle elementari la specializzazione ornitologica. Verso i dieci passavo ore a sfogliare l’atlante, con particolare simpatia per le nazioni tascabili tipo Sammarino, il Lesotho o Vanuatu. Verso i dodici gli aerei, poi la musica e un paio di altre cose.

Tutte le nozioni scollegate che conosco ora le devo a quel bambino con i capelli biancobiondi.

Così, siccome porello era tanto timido e solitario, ma era anche tanto tenero, ogni tanto gli attribuisco qualche tributo. Mi ripasso le bandiere e quando vedo lo svasso fra le ninfee, nella solita ansa dell’Amstel, penso che se ci fosse stato lui avrebbe fatto salti di gioia, a vedere l’anatra con la testa di volpe.

A forza di succhi e atlanti, sto bambino aveva sviluppato una specie di ossessione per l’estero. All’asilo era estasiato dal suo compagno metà greco, il primo mezzo straniero del paese.

Quando i suoi lo portavano al mare a Lignano Sabbiadoro, osservava con curiosità i bambini tedeschi, con la loro apparenza umana come la sua e le loro vite parallele, fatte di cartoni animati diversi dai suoi e soprattutto scissione dal trinomio imprescindibile Milan-Juve-Inter.

Avrebbe desiderato chiedere a quei bambini “e tu per chi tieni?”, ma la cosa era tecnicamente impossibile. Così quel bambino aveva deciso che un giorno avrebbe imparato le lingue.

Ogni tanto ci penso a sto bambino con gli occhiali di plastica, fatti su misura fin da quando aveva due anni.

E penso che gli sarebbe piaciuto essere al mio posto, vivere all’estero, avere amici stranieri, parlare un paio di lingue sfuse.

Ogni tanto ci penso, dicevo, e per un attimo mi rassereno. Ho raggiunto tutti i suoi obiettivi, anche se nel frattempo non sono per forza anche i miei. Poi penso che forse non è poi così sano raggiungere i sogni dell’infanzia a manco trent’anni.

1 commento:

Anonimo ha detto...

"Quando ero piccolo avevo paura che a vent’anni mi sarei rinnegato, non mi sarei ricordato niente dell'infanzia e mi sarei vergognato di quello che ero stato."
Càspita, che pensieri impegnativi per un bimbetto con i capelli biancobiondi!
Però dovevi essere davvero tenerello, specialmente per via degli occhiali di plastica.
Ossequi
Mia