Quando ero piccolo avevo una specie di timore reverenziale per la persona che sono ora.
Il limite erano i vent’anni. Mia mamma mi aveva detto che la prossima puntura mi sarebbe toccata alla visita di naja, a vent’anni e la soglia era quella, prima e dopo il grande dolore.
Quando ero piccolo avevo paura che a vent’anni mi sarei rinnegato, non mi sarei ricordato niente dell'infanzia e mi sarei vergognato di quello che ero stato.
Ora un po’ mi dispiace per quel bambino timido e saputello, che in fondo non era poi così cattivo. Aveva grandi interessi che duravano per un periodo limitato, nel quale riusciva ad immagazzinare tonnellate di dati sfogliando i libri della biblioteca di casa. Così ai tempi c’erano i succhi di frutta con i tappi con le bandiere del mondo e lui intorno ai 5 anni, in pochi mesi le aveva imparate a memoria, con tanto di nome nella lingua locale, ché l’Egitto a casa sua lo chiamano El Misr e l’Albania Shqipeira (ma lui approssimava a Scopeira).
Poi c’erano stati i passaggi ovvi con calcio, dinosauri, animali e verso la fine delle elementari la specializzazione ornitologica. Verso i dieci passavo ore a sfogliare l’atlante, con particolare simpatia per le nazioni tascabili tipo Sammarino, il Lesotho o Vanuatu. Verso i dodici gli aerei, poi la musica e un paio di altre cose.
Tutte le nozioni scollegate che conosco ora le devo a quel bambino con i capelli biancobiondi.
Così, siccome porello era tanto timido e solitario, ma era anche tanto tenero, ogni tanto gli attribuisco qualche tributo. Mi ripasso le bandiere e quando vedo lo svasso fra le ninfee, nella solita ansa dell’Amstel, penso che se ci fosse stato lui avrebbe fatto salti di gioia, a vedere l’anatra con la testa di volpe.
A forza di succhi e atlanti, sto bambino aveva sviluppato una specie di ossessione per l’estero. All’asilo era estasiato dal suo compagno metà greco, il primo mezzo straniero del paese.
Quando i suoi lo portavano al mare a Lignano Sabbiadoro, osservava con curiosità i bambini tedeschi, con la loro apparenza umana come la sua e le loro vite parallele, fatte di cartoni animati diversi dai suoi e soprattutto scissione dal trinomio imprescindibile Milan-Juve-Inter.
Avrebbe desiderato chiedere a quei bambini “e tu per chi tieni?”, ma la cosa era tecnicamente impossibile. Così quel bambino aveva deciso che un giorno avrebbe imparato le lingue.
Ogni tanto ci penso a sto bambino con gli occhiali di plastica, fatti su misura fin da quando aveva due anni.
E penso che gli sarebbe piaciuto essere al mio posto, vivere all’estero, avere amici stranieri, parlare un paio di lingue sfuse.
Ogni tanto ci penso, dicevo, e per un attimo mi rassereno. Ho raggiunto tutti i suoi obiettivi, anche se nel frattempo non sono per forza anche i miei. Poi penso che forse non è poi così sano raggiungere i sogni dell’infanzia a manco trent’anni.
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1 commento:
"Quando ero piccolo avevo paura che a vent’anni mi sarei rinnegato, non mi sarei ricordato niente dell'infanzia e mi sarei vergognato di quello che ero stato."
Càspita, che pensieri impegnativi per un bimbetto con i capelli biancobiondi!
Però dovevi essere davvero tenerello, specialmente per via degli occhiali di plastica.
Ossequi
Mia
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