giovedì 9 luglio 2009

Cose che sono nell'aria

Ci sarebbe come sta cosa, no, che gira nell’aria. Forse neanche nell’aria, in me. Roba che tipo vorrei non essere in me per dire “ah, non è nell’aria, mi sa che deve essere in quello là”.

Roba che uno gira tranquillo, come se niente fosse. E forse niente è. E infatti mi sa tanto che non è niente. E poi però ti giri e sai che c’è.

È il fantasma del lavoro. Ti fai un culo così, perché hanno appena licenziato la tedesca. Il capo le ha detto “guarda, c’ho come sto feeling che mi sa che ma, forse non ci sei poi tanto portata per sto mestiere qua”.
C’è il capo in seconda, il decisore, che la tedesca gli sta sul gozzo dal primo giorno. È che lei se deve dire qualcosa lo dice. E anche tu gli stai un po’ qui al decisore. Tu, ufficialmente reo di non sederti composto. Tu, che il primo giorno di lavoro sei arrivato due ore prima dell’appuntamento.
E ti sa tanto che stai per fare la stessa fine. Anche perché per legge a te, a differenza della tedesca, fra un mese ti devono dare il tempo indeterminato. O niente.

E allora cosa hai deciso, tu, dall’alto della tua bassa posizione? Hai varato un programma in due punti, per te rivoluzionario. Non tanto il primo, dei punti, farti un culo così. Lo hai già fatto, ed è sempre finita male. Sai che non c’è ricompensa al mondo che giustifichi lo stress che ti fa odiare persone e cose che ti circondano. Ma è solo un mese. Tre giorni sono già passati, bene tra l’altro. Meno 17.

La seconda linea, testata venerdì, con successo. Nei film la chiamano sindrome di Stoccolma, io la chiamo empatia. Dì di sì al decisore. Osservalo, anzi non farlo, dà per scontato che dentro di lui ci sia qualcosa di buono, qualcosa che giustifichi il suo comportamento da magazzino. Che in tedesco si chiama lager.

Sei resistito per dieci minuti alle sue storie sull’Africa, sul passato coloniale dell’Olanda, della sua famiglia. Alle battute sulla guerra. Chissenefrega, dico io, della guerra. Solo chi non è mai stato campione del mondo di calcio può dare importanza a vincere una guerra. Io gli do corda, che tanto per Mussolini non è che ci tifassi più di tanto, eh, ma come fa lui a capire? Lui e le sue colonie.

E poi mi viene il dubbio, così, parlando di calcio, oggi, nove luglio duemila e pure nove, che fra l’altro è per la terza volta la festa di San Marco, protettore degli italiani all'estero. Che forse non è emanazione del lavoro, sta cosa nell’aria, o dentro di me. Che non sia più che altro che mi smobilitano il Milan?

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