mercoledì 24 marzo 2010

Ritorno a Barcellona

Sono tornato a Barcellona. Dopo 12 anni. Dodici anni, 12. Parecchio eh? Fino a un paio di anni fa, se dicevo dodici anni fa, parlavo di un bambino. Ma questo accadeva un paio di anni fa. Tipo cinque.

Ora se dico 12 anni fa parlo di uno a cui mancavano tre mesi per conseguire la maggiore età, tre mesi che gli hanno consentito di entrare gratis in tutti i musei del regno iberico. Ma non è questo il punto. Era l’Interrail, in Francia c’erano i mondiali, quelli conclusi tragicamente con la vittoria dei padroni di casa, eravamo io, una ragazza e uno che ora gira Trentino ed Extratrentino con una chitarra, ricordando alle genti che la presenza della divinità è limitata. Lei, per entrare ai musei aveva dovuto pagare (per un paio di mesi), lui, mi pare, era entrato gratis a Barcellona e aveva pagato a Madrid.

Era stata una specie di Bildungsroman. Per loro parecchio Roman, a me almeno era rimasta la Bildung.

Dodici anni dopo torno e mi rendo conto di non ricordare nulla. Sarà che la città è tirata a lustro, sarà che si era ancora nell’età in cui credi alle guide che ti dicono che la vita si concentra attorno alla Rambla. Sarà che stavolta avevo non una ma due guide che la città la conoscevano da due anni.


C’è un italiano che vola dall’Olanda alla Spagna per incontrare due amiche (italiana e francese) conosciute in Irlanda. Poi tu, all’Unione europea, puoi anche non crederci. A me intanto fa parecchio comodo.

Ci sono ventimila italiani ufficiali a Barcellona e altri ventimila aumm’aumm. C’è chi dà la colpa alla recessione, chi il merito al sole. Qualcuno addirittura chiama in causa Fabio Volo.

Anche la città ricorda l’Italia. Ma forse solo per me: venendo da Amsterdam, sembra di tornare a casa. Non tiriamo in ballo il sole (c’è foschia, mentre sull’Amstel dicono che ci si rosoli), o l’aria di fiesta (i negozianti sul Dam sono molto più amichevoli). Il motivo è uno solo: le case sono giallo asburgico, con la facciata stuccata. Come da noi. Niente mattoni marroni che più che una casa mi pari un caminetto. Pare poco, a te. Fermati quassù un annetto, che poi ne riparliamo.

Ad Amsterdam si parla l’olandese, a Barcellona il catalano. Due lingue quasi minoritarie, con la sola differenza che ai catalani la loro piace. A me invece pare genovese. Non che l’olandese sia meglio. È tedesco parlato da un rovigotto col rusghino in gola.


Dodici anni fa, a Madrid (non a Barcellona, ma era quel periodo là, non è che nella vita le cose coincidano sempre come nei film) avevo avuto modo di scoprire che gli omosessuali non esistono solo in televisione. Lui era peruviano, colto e parlava un ottimo italiano. Quando mi aveva chiesto di fare un giretto nel bosco attorno all'ostello, di notte, avevo accettato candidamente. I miei compagni di viaggio mi avevano detto che loro al mio posto avrebbero provato a vedere l'effetto che fa ed erano tornati sotto le coperte.

Stavolta scendo dall’aerobus a Plaza de Catalunya e prima cosa che ti vedo sono due uomini che si tengono per mano. Torno a Plaza de Catalunya qualche giorno dopo, per prendere l’aerobus e ultima cosa che ti vedo sono due uomini, mano nella mano. Altri due li vedo nei giorni precedenti. Stavolta sono preparato, ma ho sempre creduto che queste cose fossero possibili solo ad Amsterdam. Poi mi blocco in mezzo alla folla del Passeig de Gracia e mi rendo conto che magari succede ovunque tranne che in Italia. L’ultima delle tre coppie parla italiano (“…ne ho vista una bellissima nera della Louis Vuitton…”) e se questo bugigattolo qui avesse intenti giornalistici magari li avrei fermati e gli avrei chiesto: “Oh, premesso che chiedo solo a scopo di ricerca – ci mancherebbe, ho carissimi amici gay anch’io e poi quel peruviano… – vabbè, non è di questo che volevo parlare, comunque: ci camminate anche in Italia, mano nella mano?”

E magari lo avrei fatto, intenti giornalistici o meno, fatto sta che non ho il fegato per farlo. Così non saprò mai se al giorno d’oggi anche in Italia le coppie gay camminano mano nella mano senza causare le ire di chiesa, clero e bravaggente.

E così mi sono perso un’altra ottima occasione per sentenziare.

1 commento:

Felix Lalù ha detto...

cazzi, è vero, il peruviano!!
eheh