martedì 2 marzo 2010

Trentenni o quasi

Fino ad un paio di anni fa, quando pensavo ad essere trentenni, vedevo la fine della vita. E come dargli torto, al Bastiano dei tempi che furono, che, in pieno possesso delle sue virtù tricologiche ascoltava White Blood Cells e il primo degli Strokes e pensava tanto e soprattutto ad aggiungere bandierine al mappamondo delle tipe che si era fatto. Rossa per l’esposizione totale, gialla per un bacio e arancio per le innumerevoli vie di mezzo, spostandosi per l’Europa con lo scopo di arricchire il carnet. Ora, che il carnet lo si chiamerebbe book, spesso il suddetto, nel frattempo imbarazzato dal suo pseudonimo rispolverato una mattina del gennaio atlantico in cui pubblicare era più urgente di trovare un nome, pensa imbarazzato alla sua seconda adolescenza, non per le bandierine che ancora mancano qua e là, ma per cotanta candida deficienza, mascherata dietro agli stessi ideali di Adenauer, Schuman e Degasperi.

Ora, che sputo verso i trenta, mi sento già trentenne da un pezzo. Sarà che la gente che frequento ha passato la soglia da un pezzo, sarà che per mesi ho condotto la vita dell’uomo sposato e faccio fatica a tornare un giovincello sbarazzino, ora che ho la sveglia puntata tutte le mattine alle 7.50. No, i vostri sguardi accigliati per farmi capire che la vostra sveglia è puntata alle 6.30 non mi faranno cambiare idea.

Sarà, anzi, è, che nel frattempo ho assunto interessi da trentenne. Mangiare bene. Solo sette anni dopo aver scoperto il Burger King, esco a cena nei locali etnici, vado al mercato altrettanto etnico il sabato mattina (perché, anche di sabato c’è la mattina?), compro il pane dal turco, i manghi dall’africano, il peperoncino spagnolo dal surinamese dell’angolo, i pomodori, ahimè, dall’olandese e una pinta di whiskey irlandese al cugino antiproibizionista degli off-license.

Bere bene, infatti. Birra belga. Etichette, nomi, colori, gradazioni, malto, luppolo, aromi, bicchieri. Me ne sono accorto lo scorso fine settimana, quando sono venuti a trovarmi altri due veterani dell’Erasmus a Colonia 2002/03. Tomas, che qualcuno conoscerà come reduce transibirico e il mio carissimo amico Nicola de Roma, che non vedevo da anni. La cosa che mi ha stupito è stata rendermi conto come, rispetto ai tempi che furono, l’affiatamento rimane identico, ma cambiano le tematiche di discussione.

Ci si ubriaca ancora, ma di birra belga, appunto. Non si chiama bere, ma degustare. Poi non me ne si voglia se le carte delle birre dei locali belgi d’Amsterdam sono infinite e ci si perde fra nomi affascinanti e colori. Bourgogne des Flandres, Chimay, Maredsous, Rochefort, Westmalle doppia, anche tripla quando occorre, roba di sto calibro qui.

Non si va più nelle discoteche indipendenti, che poi non è che ci sia una differenza con le discoteche becere, solo che con la musica indipendente, se non sai ballare hai la scusa che non è roba da ballare, ma da fruire, ma si sta a casa ad ascoltare hardischi pieni di tango, bossa, blues e roba che viene dal Mali, vaneggiando di viaggi etnociatviniani e pazienza se ai tempi ci siamo lasciati sfuggire la trombonave fra Stoccolma e Helsinki. Ora la cosa non ci interessa più di tanto, perché la metà di noi è fidanzata e più che di gnocca si parla – ebbene sì – di sentimenti.

Sentimenti tanto grandi quanto lontani. Formazione del Como 87/88: Corneliusson, Milton, Annoni, Marco Simone, Vinicio Verza, faccia, nome e cognome più brutti della Serie A. Chi c’era in porta?

Non ci dispiace essere trentenni, al calduccio di un ristorante argentino col suono del bandoneon che stride facendosi strada fra la griglia delle casse dello stereo.

Turisti trentenni ad Amsterdam, e ci si risparmia perfino il supplizio dei coffee shop.

3 commenti:

izn ha detto...

ehehehehehe :-)

rafeli ha detto...

Bello, bravo.

Io adesso per esempio mi compro le mutande piu' buone, mi tratto meglio. Il latte la mattina. Le insalate. E poi, a parte questo, si riesce a capire quello che veramente ti piace, distinguendolo da quello che dovrebbe piacerti.

Aria ha detto...
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