lunedì 28 dicembre 2009

Uno ogni tanto torna anche a casa

Uno una volta ogni tanto torna anche a casa. Anzi magari no, perché nel frattempo chiama casa quella per la quale paga l'affitto e comunque quella casa, quella dove non è che sia nato, ma ce lo hanno portato appena partorito dall'ospedale, i genitori l'hanno rivoltata da capo a piedi.
Per andare a casa vede l'Italia, o almeno il campione più o meno gratuito-vietata-la-vendita fra i due tre d'Italia, Treviso e Trento.

La prima cosa che uno nota sono le case italiane, case come quelle che ha trattato come archetipo di casa per la maggior parte della vita: niente mattoni marroni, ma intonaco giallo, giallognolo, giallino, rosso, rosato, grigio. La differenza è che stavolta sembra che tutti facciano a gara a dipingere le facciate in colori sempre più sgargianti. Uno si domanda: può il colore rosso bordò assumere tonalità sgargianti? Da oggi sa che la risposta può essere sì. Può il giallo asburgico sembrare un tuorlo nucleare? Da oggi sì. Deve essere un nuovo componente, un ingrediente Ics che trasforma i colori in pugni negli occhi.
Una su tre di queste case è dotata di Babbo Natale arrampicondo. Ma questa, signori miei, è un'altra storia.

Vicino a Treviso ci sono paesi con nomi stupendi. Talmente nord-est che quando li pronunci senti in bocca il sapore della pasta e fagioli del sudore delle fronti dei nostri avi. Lo senti nelle Z che scivolano, nelle vocali al termine del nome, che quando ci sono sanno di imitazione napoletana. Come quelli che dicono Trèvisan invece di Trevisàn. Non c'entra, ma rende.
Il migliore, di sti nomi, è Zero Branco.

Poi sono quasi sette mesi che uno non tornava a casa, che è un record ed è destinato a rimanerlo almeno per i prossimi sette mesi e si accorge, uno, che certe parole, ma solo certe, gli vengono in inglese. Tipo che al bar urta uno e gli fa "sciòwi", che è la corruzione della lingua imperialista che usano lassù per dire sorry. E poi parla al bar e invece dei soliti "cioè", gli viene da dire "like". Sempre quasi, mai davvero, ma sempre quanto basta per creare pause di pochi centesimi di secondo nelle quali l'interlocutore si chiede perché si è fermato a metà di una parola senza senso. Così quando uno ordina il secondo giro di birra, parla con calma e si concentra sull'evitare l'"asciubliff" a fine frase, che sostituisce con un "per favore" che fa tanto italiano nato all'estero.

Non per dire, ma quell'uno sarei poi io.

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