lunedì 21 dicembre 2009

Omelia del mese: robe che hanno significati

Qualcuno ha ciuffato la scritta di Auschwitz.
Chi, non si sa. E non a molti frega più di tanto di saperlo.
Per fortuna, perché chiunque lo abbia fatto non ha capito una cosa. Non ha capito che il tanto vituperato mondo moderno ha almeno un pregio: che dei simboli e degli atti simbolici, almeno quelli non inerenti modelle che si spogliano in favore o contro qualcosa, non gliene frega più una mazza a nessuno.

"Schiaffo alla comunità ebraica", titola la Repubblica. Ora, per chi ha avuto i nonni internati in un campo di concentramento, o come minimo espropriati, deportati o emigrati, più che uno schiaffo questo è un buffetto.
Neonazi? Macchè. Immaginateli chiusi in una cantina per mesi a studiare il piano, mentre i coetanei frequentavano discoteche per praticare nuove forme di sessualità. Immaginateli chiusi in una cantina fra salami affumicati di sigaretta, pensando seriamente a come entrare nel campo di concentramento. Immaginateli arrancare fra la neve, non come i nonni a Stalingrado, ma come una setta di nerdi, tutto questo mentre i coetanei si scambiavano umori in pista da ballo. Immaginateli che entrano, segano la scritta, la portano a casa, bevono un Montenegro, sentendosi uomini veri proprio come quelli della repubblica ex yugoslava.
E perché? Per dimostrare cosa? Dubito che i coetanei intenti a scoprire nuove pratiche amatorie ne abbiano tratto alcuna lezione.
E tutto questo per niente. Perché obiettivamente, cosa cambia al mondo senza la scritta di Auschwitz? Al massimo un artigiano incaricato di costruirne una fac simile non perde il lavoro grazie a questo incarico. Speriamo un immigrato.

Gli atti simbolici servono per parlarne, ma solo in termini di battute o discorsi che non hanno termine e non portano nulla di nuovo. Oggidì, di cose ne succedono ogni secondo. Parlo di cose concrete, tipo risultati di partite di calcio, sfratti al grande fratello, celebrità che divorziano, politici che fondano pocketpartiti. Per le cose simboliche, quelle valide solo sul piano discorsivo, che non hanno conseguenze pratiche, non ha più tempo nessuno.

Tranne in Italia, dove l'alto grado di socialità della gente li costringe a trovare argomenti di discussione sempre nuovi. In pratica in Italia il dialogo ha assunto il ruolo di azione. In Italia si parla ancora di simboli. E le guglie del Duomo di Milano ne sono piene.

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