giovedì 24 dicembre 2009

Tanto lassù siete tutti crucchi

Quando all'università mi chiamavano "il Crucco", quando mi accusavano di non voler essere italiano e parlare tedesco, io, unico del mio corso che il tedesco non lo sapeva ancora, beh, forse comincio a credere che un po' di ragione magari ce l'avessero anche avuta.

Il fatto è che sono tornato a casa. A casa dei miei, perché quella dove sono nato e ho vissuto per 18 anni completi più dieci altri con cadenza saltuaria, è stata rivoltata e ricostruita e ora faccio fatica a chiamarla casa mia. Tutto questo nonostante mia madre ci tenga ogni volta a specificare che hanno tenuto la mia camera e anzi, me l'hanno fatta bella e accogliente nella speranza di rivedermi presto.
Hanno allargato la sala, in modo da strappare al bagno la vista sulle Dolomiti occidentali e su Castel T**n, ora in grande spolvero grazie all'apertura al pubblico e alla relativa promozione da parte di Mamma Provincia, e soprattutto, hanno piantato in mezzo al nuovo supersalone iperilluminato l'ultimo degli status symbol valligiani: el fornel a ole.

Non chiedetemi come si chiami in italiano, ma si tratta di uno di quegli enormi camini che si trovano nelle stube altoatesine, solitamente ricoperti di piastre di ceramica, tranne nel nostro caso, semplicemente imbiancato con spatolate di rosso tendente al magenta.
Il fatto è che, col fornel a ole in casa e il castello con le sue imposte rossobiancorosse che ci si specchia nelle vetrate dall'altra parte della valle, si respira un'aria vagamente tirolese. Per complicare la cosa, mia madre è stata a Bolzano/Pozen e ha comprato pane di segale e salamini secchi piccanti. Tutto questo detto, anzi, scritto, mentre con una mano inforco la crosta dello strudel di mia madre. Forse che noi autonomisti buoni ci stiamo adeguando ai nostri cugini cattivi e reietti?

Ma non è del Suttirolo che volevo parlare, perché quello lo faccio già abbastanza quando incontro qualcuno che mi accusa di appartenere alla loro genia, mentre io sono nato sull'altro versante della montagna, a ben venti chilometri dalle terre germaniche. Volevo parlare delle coordinate di tirolesità del Natale scorso, in attesa di quello nuovo. Del ritrovo alla casa nuova di mio cugino, riscaldata da venti fiati con cromosomi simili e - in percentuale maggiore - dal prodotto più recente della tennologia autonomista cattiva.

Il fornel a ole di mio cugino è rivestito di ceramica, con inserti di conchiglie spezzate, a mo' di finti fossili. Per un intero pomeriggio si era parlato unicamente del nuovo status symbol, di chi ne aveva uno in cantiere come noi, o come il fratello della moglie del suddetto cugino, chi già lo aveva o chi ne progettava l'installazione. Mentre le generazioni più giovani donavano natiche ancora fresche alla ceramica riscaldata, godendo impanciollati del nuovo beniamino di mamma e papà. Nessuno era indifferente di fronte al fornel a ole. Scendendo in cantina e studiando il sistema di alimentazione automatica a legna avevamo scoperto i suoi segreti e si leggeva massima concupiscenza negli occhi di parenti di nascita e acquisiti non ancora dotati dello scaldaceramica d'ordinanza.

E mi sono immaginato una famiglia dell'Italia non autonomista, dove il desiderio non spinge sulle vie del tepore, dove a Natale magari ci sono 10 gradi e al pranzo si parla di calcio.

Ora qui non è che ci sia da aspettarsi una conclusione tipo "meglio qua" o "meglio là". Non è questione di meglio o peggio, è che per un attimo ho pensato che magari ha ragione chi ci accusa. Crucchi siamo e crucchi restiamo. Nulla da fare. Ma non siamo mica cattivi, eh! E non parliamo mica tedesco. E poi col cavolo che vogliamo passare all'Austria e perdere mondiali di calcio e interesse da parte delle ragazze straniere.

Non scherzo mica. Il mio amico Tobias, di Innsbruck, mi ha detto che là, all'università, è pieno di altoatesini che parlano fra di loro un italiano pesantemente accentato e giocano a fare gl'italiani per compiacere le pulzelle.

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