martedì 19 maggio 2009

Hè hè

La finestra è la mia, ma Bunny non sono io, mi raccomando, che ci tengo.
Bunny è Baldovino, detto Baldo, il coinquilino olandese che mi ha accompagnato per un anno destinato a terminare fra un paio di settimane.
Strano vederlo chiamare così, l’unico coniglietto che riesco ad associargli è il Tenerone. Al massimo quello di Donnie Darko, ma sono due accostramenti ingenerosi, uno troppo ridicolo e l’altro troppo dark.
Lui è Bunny come può esserlo uno che fa il fotografo e l’artista in generale e gioca a rugby in serie A (olandese). Uno alto due metri con un fisico da sabato fascista e una facciona buona, simpatica e facciosa, con uno spazio di qualche millimetro fra gli incisivi superiori che lo fa sembrare un comico da bei tempi andati.
Insomma, un coniglione di una discreta stazza.
Ma andiamo con ordine. Devo avergli portato fortuna in un coso che ho scritto un paio di mesi fa (il collegamento non ve lo metto, ché è uno dei peggio cosi che abbia mai scritto), dove descrivevo il suo rituale di corteggiamento, augurandogli che quella fosse la volta buona.
È stata la volta buona, poraccio, si è trovato sta ragazza portoghese, anche lei artistomane, che ha riempito la casa di statuette africane e manufatti di varia manifattura. Una tipa simpatica e intelligente, che ha conosciuto Baldo facendogli da modella per una sessione fotografica. Alché vi chiederete: “nuda?” E a me che non volevo toccare l’argomento toccherà fare svogliatamente cenno di sì.
Perché parlo di Baldo, oltre che per farmi i cacacci suoi? Perché Baldo ha due gatti. Quasi. Più che altro perché Baldo fa “hè hè”.
Ordine di nuovo. I gatti per primi, uno nero con la pancia e le zampe bianche, l’altro identico, tranne per il nero, che diventa viola come il vino in virtù di sapienti mescole di sfumature arancio, nere e brune.
Baldo, che in fin dei conti è un vero Bunny, vuole un gran bene ai suoi gattoni e gli si rivolge con frequenti “hè hè”.
Di questo “hè hè” se ne parlava con il mio collega italiano, dice che è la tipica interiezione della gente di questa mirabile città, da proferire nei contesti più vari, evidentemente quando ci si rivolge agli animali, ma soprattutto quando non si sa cosa dire.
Il fatto è che ha un suono ridicolo. Si pronuncia in due sospiri, distanziati da una pausa in tempo dispari, che conferisce dinamicità, allungando le “è” e alzando la voce quando le si pronuncia. Sembra il verso di qualche uccello di grandi dimensioni. Forse un airone, ma più probabilmente qualcosa di più sgraziato, tipo un tarabuso o un marabù.
“Ed è già ossessione”, come scriverebbero sul sito dei maggiori quotidiani italiani. Non riesco più a smettere di dire “hè hè”. I miei colleghi e K mi hanno già imposto il silenzio, ma la condanna a non parlare non fa che inasprire il desìo di proferir le bramate parole proibite. Appena sento silenzio, mi viene in mente “hè hè” e faccio una cagna immane a trattenermi.
Così capita che mi sfoghi quando sono completamente solo, ma non capita spesso. Ultimamente succede anche a casa, in presenza di Baldo. Chissà che ne pensa lui, se crede sia normale che un italico giovine proferisca le fatal parole o se si senta un ciccinino preso per il didietro.
Stasera comunque torno in Italia e sono arrivato al punto di attendere con ansia l’evento per poter finalmente dire “hè hè” senza che qualcuno reagisca violentemente. Almeno per le prime ore.

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