lunedì 4 maggio 2009

Baciami sull'elmo di Scipio

Qual’è il popolo più nazionalista d’Europa? Tutti insieme: “i franceeeesi”.
Ebbene, a girare per il centro di Amsterdam lo scorso weekend invece si sarebbe detto che semo noantri.
Era tutto un baluginio di scritte “Italia”, stemmi della nazionale e roba azzurra, bianca, rossa e verde. È che all’estero il vero italiano ci va con la tuta della nazionale. Più del francese, poco più dell’irlandese, più addirittura dell’inglese, che alla patria preferisce il club locale. La disegnano apposta per il gusto italiano, la tuta della nazionale, bianca con scritte e rifiniture in color oro. In alternativa, l’italiano può scegliere di indossare la felpona della Kappa, di quelle con il nome delle città scritto a caratteri cubitali a mo’ di sponsor, diviso a metà dalla cerniera. E ne vorrei una con scritto il nome di qualche paesino delle valli del Noce, che hanno tutti nomi meravigliosi (TERZ|OLAS, VER|VÒ, SFR|UZ), ma questo forse non c’entra più di tanto.

Pensandoci bene non è che l’italiano sia tutto sto gran patriota, gli piace ridere dei suoi difetti e non si sente superiore a nessuno che provenga da un paese con un reddito medio pro capite più alto del suo, più che altro l’italiano ci tiene a mostrare che è italiano. Ma perché? Come direbbero i francesi, “mais pour tromber, ça va sans dire!”

Questa tesi è avvalorata dalla constatazione che, con un po’ di attenzione ci si accorge che quelli che si adornano del tricolore sono sempre in comitive di soli maschi, che pasturano come buoi dalla carne ancora tenera, facendo sentire la loro voce profonda e la loro mascalzonità latina.
Le coppie e le famiglie non lo fanno. Di solito si aggirano educatamente per musei e ristoranti e spesso cercano addirittura di parlare piano.

Macchissenefrega. Quello che interessa a noi ggiovani in questa sede è sapere se è veramente più facile trombare qualora in possesso di nazionalità italiana legalmente certificata (*fanno eccezione brasiliani e argentini dotati di passaporto).

L’esperienza (di straniero, non di trombeur de femmes) dice che a volte è vero, altre è vero il contrario.

Che è vero lo dimostra quel tipo che ho incontrato a Göteborg, che girava con la maglietta di Del Piero. Quando gli ho chiesto se era italiano mi ha detto “sì, ciao, grazie, bello”. Dopo aver richiesto la perizia psichiatrica mi sono reso conto che si stava fingendo italiano per catturare l’attenzione delle damigelle.
E poi mi ero riproposto di non parlare di esperienze personali, ma non riesco a non citare una tipa che ho frequentato in Erasmus, che mi chiamava “mein Italiener”, “il mio italiano”, come se la mia presenza nella sua vita fosse perfettamente compatibile con quella contemporanea di un francese, un inglese e un tedesco. Tanto le barzellette insegnano che comunque vinciamo sempre noi.

Ma come si diceva, è vero anche il contrario. Tante sono le signorine che appena dichiari di condividere il suolo natio con Dante, Petrarca e Gattuso ti guardano con sospetto, come se intuissero in te il senso del dovere che ti impone di provare ad entrare nelle loro grazie. Il fatto che gli rivolgi la parola è già evidenza di reato.

Che poi queste pensano che gli italiani siano dei gran bastardi con le donne. Invece quelli che conosco dall’estero sono dei maniaci sentimentali in cerca della donna da sposare, che ci provano con più di una contemporaneamente solo per zelo nella ricerca di quella giusta.

Comunque io avevo una teoria, che poi la signorina Nina Cantina (come si dice “cantina” in tedesco?), proveniente dalla Città degli Uomini (questa è più difficile: Mannheim), ha confermato senza che io le esponessi le mie idee per primo: gli italiani piacciono per le avventure, ma non ispirano per rapporti duraturi. Sono la variante umana dell’Italia: ottima per andarci in ferie, ma troppo faticoso vivere fra mafie e treni che non arrivano in orario neanche ora che c’è Lui.

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