lunedì 20 aprile 2009

Varie ed eventuali in giro per il centro

Solito giro per la mia personale Venezia del Nord e trovo la risposta a uno dei grandi quesiti esistenziali. Che fine fanno i pandori e i torroni che non vengono venduti durante le feste? E la risposta è che finiscono allo Xenos.
Lo Xenos in Olanda (ma anche in Frisia, Limburgo, Gheldria e tutti gli altri paesi bassi) è culto ed è una catena di negozi dove trovi tutte quelle piccole cose che quando ti servono non sai mai dove trovarle. L’olandese è fortunato, perché c’ha lo Xenos e pure l’Hema, che ne è il cugino boro. Ci trovi roba da tutto a mille lire, tipo la molletta di metallo con i due filtri per metterci il tè sfuso, contenitori di ogni genere e tazze, ma anche roba da più di mille lire, scopini per il cesso e zerbini, roba “divertente”, come la carta igienica con sopra gli euri e cibo assortito. Caramelle al ginseng bonificato, che sono caramelle con dentro pezzi di ginseng, succo all’aloe vera con pezzi di aloe per farti vedere che è appunto vera, bastoncini di liquirizia, senza i quali non sarei più in grado di lavorare, falso wasabi, che in realtà è rafano, ma visto che il sapore è lo stesso, tanto vale comprarlo, e la meglio roba italiana in città.
Ho sparso la voce fra i connazionali e ho anche scoperto di non essere l’unico che si compra la piada, gli gnocchi del Pastificio Bolognese e i tortellini di Mamma Lucia. La pasta lasciamola perdere, è la stessa che si trova al Conad in Italia, ma quella che vendono con il marchio dei supermercati Albert Heijn e De Boer è molto migliore.
Da un po’ avevano portato anche i pandori. Sono arrivati a fine febbraio e sono stato più volte sul punto di comprarli alla modica cifra di €3 o 4. Se non li ho presi è per non rovinarmi il prossimo Natale abbreviando l’astinenza da pandoro, ma oggi sono stato più tentato del solito. C’erano i torroni Pernigotti duri alla mandorla, i miei preferiti. Prezzo, poco più di un euro.
Se non li ho comprati è solo perché ne ho ancora di quelli che mia madre ha usato per riempirmi la borsa dopo le ultime ferie.


Prosegue il giro e noto una cosa che in realtà avevo già mezzo notato da un po’.
Due eleganti signore giapponesi si fotografano davanti alla vetrina di un negozio di moda. Non i canali, non i ponti, non il negozio di formaggio adiacente. Un negozio di vestiti.
Così ora uno crede che il consumismo sia una malattia orientale, invece no, non è una malattia e non è neanche orientale: tempo fa un’italica amica ha messo sul Facebook le foto di un viaggio. Un paio erano davanti a vetrine di negozi. Le due più commentate.
Come minimo uno giunge alla conclusione che corrono tempi bui e corrotti, ma questo è un ragionamento che si sente fare da sempre e la verità è che signori miei, potendo, nessuno tornerebbe indietro nel tempo (ma tutti si dichiarerebbero pronti a farlo, ammessa l’impossibilità dell’operazione e quindi l’impossibilità di ottenere una smentita pratica).
Quindi ci deve essere un motivo per il quale fare le foto alle vetrine dei negozi sia un simbolo di progresso. Forse perché favorisce gli acquisti in questi tempi di crisi?
Sarà, ma io nonostante abbia appena perso il lavoro, per la crisi ci tifo ancora.

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