giovedì 23 aprile 2009

Ma parliamo di lavoro

La settimana scorsa ho visto un’oca marrone che da lontano sembrava uno di quei dinosauri erbivori piccoli e veloci che mettono come sottofondo a tirannosauri e dinosauri tout-court nei film sulla preistoria.
Ho visto due svassi in amore e sono riuscito a fotografarli, ma da lontano. Giovedì è tornato l’inverno, venerdì mattina era estate, la sera tempeste autunnali e ora limbo.
Fra gli altri avvenimenti più o meno degni di un “ma dai?”, mi hanno licenziato.
Cioè, non è che mi abbiano detto "lei fa schifo, se ne vada", è stato più un “c’è la crisi economica e fai schifo, quindi il contratto lo si rinnova solo fino a fine agosto”. Che poi non credo neanche di far schifo. È che per non fare la figura dei vermi che ti licenziano senza motivo, a me e un paio d’altri hanno detto che i vermi eravamo noi.

Poco male. Essenzialmente faccio il traduttore perché non ho voglia di sbattermi più di un certo tot. Non è totalmente vero, diciamo che il problema è la motivazione. Il mio mestiere distrugge ogni ambizione. Impossibile tradurre letteratura, perché c'è già chi lo fa gratis, si va a finire a tradurre software che non solo non abbiamo mai visto in funzione, ma non sappiamo neanche a cosa serva. Peggio, la settimana scorsa ci hanno fatto tradurre un aggiornamento per il software di un laser per la correzione della vista. Ci hanno affidati ad un glossario che era stato evidentemente scritto in pausa cesso e avevamo l’ordine di farne la nostra guida spirituale. Ironia della sorte, un giorno i miei preziosi bulbi oculari si troveranno sotto un laser del genere.
La traduzione è una lotta contro la frustrazione. Sai che il più delle volte, comunque vada, se il lettore sa l’inglese, gli conviene leggere le istruzioni in lingua originale. Infatti mi sa che il medico che avrà in consegna i miei occhi dovrà masticare l'albionico.

Ma com’è il vero traduttore? Di cosa si nutre? Quale il suo habitat? Quanti centimetri misura al garrese? Mi viene in mente un’immagine di un film in bianco e nero, dove c’è questo storpio rugoso, con la faccia sfigurata per metà, che suona l’organo in un sotterraneo umido e muffolente. Magari con il computer al posto dell’organo.
Troppo. Diciamo che più che l’organista, il traduttore è il bassista della letteratura. Il bassista imposta il ritmo e il chitarrista ci mette del suo e fa gli assoli ganzi. Il chitarrista è gallo, fa i giochini, si concede licenze poetiche. Il bassista se ne sta buono buono e tiene ordine. Al massimo con il chitarrista incrocia il manico durante una parte che pompa, ma al bassista interessa la forma, non di contenuto. Di solito cerca di farsi sentire il meno possibile. Così il traduttore, meno lo senti e meglio è.

Il traduttore, se libero professionista, spesso ha problemi a livello sociale che gli rendono dolce l’isolamento fra i dizionari. Spesso il discorso vale anche per il traduttore impiegato, ma di solito è vero l’inverso. In ufficio l’impiegato si diverte come un maiale al negozio di Swarowski. Allunga la pausa pranzo del cento per cento, sotto gli occhi concupiscenti dei project manager che la accorciano della stessa percentuale, si fa una birra alla scrivania il venerdì pomeriggio alle 4 e soprattutto non si sente mai straniero, perché lavora con altri stranieri. Il taduttore impiegato mette alla prova gli stereotipi verificando di persona l’organizzazione dei gruppi di diversa madrelingua. Ne emerge che i francesi si lamentano sempre, ma darebbero la vita per consegnare il lavoro perfetto (la vita la darebbero, la sanità mentale di solito la danno davvero), gli spagnoli (e gli italiani, tranne il vostro umile scriba) sono stacanovisti, perché si sa, sono fortunati a lavorare e non si sputa nel piatto dove si mangia, i tedeschi odiano tutto ciò che è tedesco e sono negati per i rapporti sociali, a meno che non sia tu a fare lo sforzo e dopo un periodo di prova.

Il traduttore si confronta con i colleghi in pausa pranzo, quindi l’argomento principe è sempre il cibo. Ma dopo lavoro ci si trova anche al pubbe, perché siamo tutti stranieri e pure soli, così si finice per fare combutta e si diventa una specie di famiglia. Al pubbe, che può essere anche un barre, si parla del paese ospitante. Meno qui in Olanda, troppo normale è il paese, di più nei gloriosi tempi irlandesi, fra inefficienze, stranezze e prestazioni alcoliche proprie o di conoscenti.
Si parla di coinquilini. Tutti ne abbiamo, lontani da casa e troppo poveri per vivere soli. Un male necessario, una fonte di racconti e aneddoti. E c’è sempre qualcuno che cerca un appartamento nuovo.

Il traduttore la mattina non va al lavoro, va a vedere come stanno gli altri.
E la sera torna a casa e ha ancora tempo per vivere, a differenza della gente proattiva. Quelli proattivi sono soddisfatti tre o quattro volte l’anno, quando vanno a Sharm e quando ricevono la promozione, il traduttore è sempre allegro tranne nel giorno di paga e se ha finito i soldi anche in quel giorno là.

Ecco, io sta cosa qui volevo evitare, di vivere in funzione del lavoro. Che sia il lavoro a vivere in funzione mia.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Anch´io traduco, ma sono sul Baltico, non in Olanda. Una volta traducevo dal tamocco (italiano dei sudtirolesi) all´italiano-vero (quello di Toto Cutugno, per intenderci). Tutto questo per complimentarmi: la traduzione di minnie the moocher é notevole, e la lettera che la accompagna denota grande professionalitá. Se mai avró bisogno di traduzioni dal noneso mi rivolgeró al "maestro".
Brao, toi, brao...

bastian contreras ha detto...

Traduci sul Baltico. Euroscript?
Ma ti conosco di persona?
Da ndo' ses po?
Grazie per i complimenti.

adelaide ha detto...

scusa, credevo di aver scritto il nome...comunque no, non ci conosciamo. Sono arrivata al tuo blog per caso dopo essere arrivata sul blog di felix lalú per caso dopo esser arrivata sul sito dei supercanifradiciadespiaredosi per boris. Non sono nonesa ma trentina zitadina (nessuno é perfetto). Al momento traduco solo quisquillie dal tedesco all´italiano, privatamente. Ma qui a nessuno interessa minimamente l´italiano.Sono ancora un poco "indietro", e interessati soprattutto al norvegese, svedese, e alla novitá dell´inglese (ex ddr, l´hanno scoperto da poco...).
Comunque, quando la vita me lo permette, mi collego e ti tengo d´occhio, che mi piacciono le tue storie!
Ciao! Adelaide

bastian contreras ha detto...

Ah, quindi il tuo baltico è in Meclemburgo (o come si chiama in italiano), chissà perché avevo automaticamente pensato al Baltico non più sovietico.
Non ci sono mai stato, ma mi hanno detto che è una terra ancora abbastanza isolata... È verità? Il fatto che abbiano appena scoperto l'inglese lo fa pensare.
Grazie per i complimenti, fra poco mi scende la lacrimuccia!

adelaide ha detto...

Vorpommern, per la precisione. Pomerania anteriore. Quella che confina con la Polonia e c´ha Peenemunde (dove partivano le V2 di Wernher von Braun, per capirci). Allegria!! Il Meclemburgo é piú a sinistra (in senso geografico), da Rügen in lá, credo. Isolatissimi, secondo me, e non solo geograficamente. Glorioso passato (cittá anseatica, ricchi mercanti d´ambra e di pelli) e presente apatico. Credo dipenda da quello che mangiano. E forse anche dall´acqua che bevono (teoria interessante di un conoscente bulgaro). Dal punto di vista naturalistico peró é un paradiso, veramente. É pieno di spiagge di sabbia finissima, é tutto verde e azzurro, niente stress e niente traffico. Parchi naturali e biciclette. Da marzo a settembre. Ma non é cosí semplice come pensavo, capire ´sti posti. Continuo la mia opera di studio antropologico-culinario. Ciao!