giovedì 26 marzo 2009

Tettonica in me

Credo che qualcuno mi abbia rimproverato, senza proferire parola, di non essere abbastanza autobiografico. Questo qualcuno include il coinquilino del mio corpo, quel pigro, presuntuoso, megalomane moltopiccoloborghese che a piccoli passi si sta impossessando di sto coso e non sopporta il nome Bastian Contreras. Dice che fa troppo punk adolescenziale e minaccia di trovarsi un altro alter ego. Ormai è evidente che si vergogna di me, si è preso anche il nome del coso.

La sua sfortuna è che non ha molto da dire. Il suo articoletto sugli uccelli non era malaccio, un po' patetico se guardato dalla prospettiva dello starci dentro, ma in fin dei conti passabile. Ma là ha sparato tutti i suoi colpi. Cos’altro può avere da raccontare uno che si sveglia alle 7.31 o 32, 29 se si deve fare la barba, che poi immaginati che differenza fa un minuto quando uno si deve fare la barba, doccia e colazione, fra le 8.36 e le 8.41 sale in bici, si gode il paesaggio maledicendone la ripetitività, arriva in ufficio verso le 9.13, ne emerge fra le 17.31 (perché diciassette sono, non cinque del pomeriggio, nel suo mondo moltopiccoloborghese) e le 18.00. Torna indietro lungo la stessa strada e passa la serata a leggere, scrivere e guardare partite o film, chatta con la morosa su Gmail e poi legge libri di viaggi a letto fra le 23.39 e le 0.08 (neanche le 24 dico io, le zero!). Ditemi voi se questo è un uomo, anche se ammetto che citare 1° Levi, considerando i contesti, convince quasi del contrario.

E comunque vedere come si bea quest’uomo, nella sua mediocrità. Vorrebbe fare cose, ma gli mancano pazienza, costanza e talento. In dieci anni non ha mai imparato ad accordare una chitarra a orecchio. È stato alla mostra di Avedon e crede di capire tutto di arte, ma non è che diventi fotografo da un giorno all’altro, colleone. Ma la peggio la dovete ancora sentire. Adesso fa pure l’attore. Solo perché sabato ha recitato in un corto diretto da un amico per un corso di cinema.
E dovreste vedere quanto era fiero, nella sua patetica mediocrità, in mutande davanti alla telecamera.

Questa persona che scrive gli status update divertenti su Facebook e non riesce a fare a meno di sventolare davanti alla sua centotrentina di amici sfusi i cinque migliori dischi della storia e i cinque dischi che ti hanno formato. Patetico. Ah, e sentite l’ultima, pare stia traducendo i testi di Bob Dylan in dialetto. Son tutti artisti, col culo degli altri.

E questa è la persona che mi dà il pane, che mi spinge ad una pulsione che non so se è affetto familiare o omosessualità, o forse sono io che sono femmina, ma Sebastiana sarebbo troppo un nome di merda. Una persona che magari non ne sa quanto me con il mio nome da panchettino adolescente, ma in fondo non è neanche peggio di te, che chissà quali altri difetti moltopiccoloborghesi c’hai, tu che magari hai un lavoro con un nome inglese e le maiuscole e non hai neanche il tempo di leggerti un libro prima di andare a letto e magari periodicamente mi esci con parole tipo “proattivo”. Oppure lavori nel callcentro per 400 euro al mese, che non fa differenza. Il difetto di questa persona, la fonte della sua meschinità, è essere come te, né un winner, né un loser, ma un eterno paregger, ché drawer fa troppo cassetto. Che sia per questo che la sua la chiamavano la generazione X, al tempo in cui si giocava ancora la schedina? Poco importa, ora Severgnini li chiama gli Ottantini e fra di loro i vincitori è difficile individuarli, mentre i perdenti muoiono di inedia, così rimangono solo quelli come te, lui e Trapattoni, con cinque in difesa e un solo attaccante a giocare di contropiede, sperando che un dio gliela mandi buona. E ora è lui a scrivere mi sa, una metafora che sa dei liquami della piana di Ligabue. Patetico è dir poco.

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