giovedì 5 marzo 2009

L'unico reggae che reggo

Non mi è mai piaciuto particolarmente il reggae. Ho sempre preferito la musica che si evolve, cambia ritmo, si alza, accelera, rallenta. Il regghi è statico, claustrofobico, dice “sì, potremmo uscire a fare un giro, ma anche no, magari fra cinque minuti".

Il reggae mi ricorda le serate passate in Valle, quando si partiva per incontrare esseri umani e si finiva chiusi nella taverna di qualcuno a farsi le canne. Non che si ascoltasse regghe allora, ma l’atmosfera era quella. Avevo voglia di uscire, parlare con il mondo, ma no, i veri fighi non parlano con la gente, si chiudono in taverna ad allargare i confini della propria mente.
Sarà anche per quello che alla storia delle porte della percezione non ci ho mai creduto. Ho passato anni ad ascoltare e leggere solo roba che avesse a che fare con gli anni Sessanta, ma poi mi sono reso conto una volta per tutte che i fiori non mi interessavano e che i loro figli probabilmente erano lo stesso tipo di gente di quelli che ora fanno i punkabbestia.

Me ne sono convinto ieri guardando Un sacco bello di Verdone. C’è questo fricchettone che parla con lo stesso tono dei modeni portatori di cane e catene. Cioè, oh, voglio dì. Lo stesso gergo dal quale deriva la parola noiggiovani. Mi sa che se fossi nato negli anni Sessanta, per pura ribellione sarei diventato un banchiere. Che poi anche la prole delle piante per lo più ora lavora in banca, ma ovviamente allora non lo avrei saputo.

Tre l’altro ho sempre considerato stirpe botanica e sessantottini come la stessa cosa, ma K dice che almeno da lei non è così. Pare che la differenza fondamentale sia che in Alemannia il clan dei vivaisti snobbasse la politica, dedicandosi ad una vita edonistica fatta di camper, campeggi, amore libero e sandali. Se ci pensate, il quadro corrisponde allo stereotipo del nordeuropeo in ferie in Bella Italia, che tuttora a 50 anni tiene i capelli lunghi a fare da aureola alla pelata e brandisce quello che tutti noi conosciamo come “baffo da turista tedesco” (per me che ormai conosco l’ambiente, “baffo da austriaco”). Quindi dev’essere vero. I polleggiati in ferie al mare e gli altri a casa a manifestare per portare avanti la baracca.

Da un po’ mi chiedo se anche in Italia era così, ma a pelle direi di no. Da noi quelli che giravano l’Europa in camper erano gli stessi che il mese prima tenevano comizi in facoltà. Oserei teorizzare che nelle comuni italiane più che scopazzare liberamente si complottassero spese proletarie. Ma ora mi viene davvero il dubbio. In fondo ai tempi qualcuno cantava che “il figlio dei fiori non pensa al domani”. Però d’altra parte gli scioperanti di Pietrangeli “di libero amore facean professione". Aiutatemi a chiarire questo arcano, ne va della mia concezione della storia d’Italia.

Forse il gruppo si è diviso più tardi. Qualcuno è andato Alla rivoluzione sulla Due Cavalli (film leggero, dolce e simpatico) e gli altri sono rimasti al campeggio a farsi le canne.
Poi sono arrivati i punkabbestia, che dalla politica hanno preso la A cerchiata e dalla natura il cane, per poi scegliere di fregarsene di qualsiasi tematica o ideale.

E pensare che volevo parlare di reggae, di come non mi esalti, per passare poi alla mia più recente ossessione: 54-46 was my number, di Toots & the Maytals. Succede che tempo fa mi sono guardato This is England in flusso dati (streaming), il video non si caricava e mi sono sorbito l’inizio del film una ventina di volte. Ogni volta un secondo in più, ogni volta ad ascoltare la storia recitata all’inizio della canzone, ogni volta a chiedermi come sarebbe proseguita. Pare che alla fine il tipo vada in prigione al posto di un altro, perché altrimenti questo gli avrebbe rovinato la vita che altro che un paio di anni di galera. Sullo sfondo immagini dell’Inghilterra all’inizio degli anni ’80, chi se ne frega dell’Inghilterra, ma la Thatcher sul trattore a ritmo di regghi è divertente e poi il film è fatto bene, ti spiega com’è che uno che non ce n’ha idea possa diventare nazista per caso. Un rischio che il punkabbestia non corre, ligio al suo scarso interesse per qualsiasi cosa non possa essere avvolta nelle Rizla.



Comunque più del film è rimasta la canzone. K dice che mi piace più la musica recitata di quella cantata. Io aggiungo che è perché io di musica tennicamente parlando non ci capisco una beata.
E così dovreste vedermi la mattina verso le nove e un paio di minuti, mentre faccio il mio ingresso a Chiesavecchia sull’Amstel a colpi d’ippodio, rimbalzando sul sellino e pedalando in una traiettoria deciamente regghe, canticchiando bapadadidodadadidodadadì dabidabi daba dedo, dedo, dada, dada.

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