giovedì 19 maggio 2011

Raccontare cose

Sti giorni scopro che quello che mi piace è raccontare cose. Non storie, che quello, da uno che tiene un bugigattolo come questo da diversi anni, ce lo si aspetta anche. Parlo proprio di cose. E forse non dovrei dire raccontare, ma spiegare, solo che le cose che spiego sono tutte collegate a me in qualche modo. Sono spiegazioni personali, quindi è proprio raccontare.

Mi piace, ad esempio, portare Lilù a vedere il mio paese, la mia valle e la nazione tutta per la quale tengo ai mondiali. Le racconto anche delle filande del mio paese, del castro romano distribuito in forma di mattoni fra tutte le case del paese, ma soprattutto le illustro la planimetria e le tipologie dei bar passati e presenti. Il bar pulito, quello del Gianni e dei punch al mandarino dopo la messa di Natale (che nel paese dove si va a letto presto è alle 9 di sera, mica a mezzanotte come in città). Poi il bar zozzo, quello della Lori col suo vestito zebrato che sembra la tuta della nazionale tedesca di sci, e poi il bar che c’era, quello con la pergola e il videogioco del calcio con tutte le nazionali del mondo. Spendevo sere a guardare gli altri giocare, solo per studiare i colori delle maglie delle squadre asiatiche. Di giocare io stesso non me ne è mai fregato più di tanto.

Le parlo dell'evoluzione sociale dovuta all'introduzione di un secondo supermercato, le spiego che sul campetto dove ora cresce l'erba artificiale noi ci si spellava le ginocchia scivolando sulla ghiaia e come è ovvio e naturale mi sembra migliore quel mio piccolo mondo quasi antico.

Tra parentesi, non lo è.

La porto in malga e sul pratone le racconto di cose che non interessano alla gente di città. Ma io ho voglia di farlo e le parlo di mio nonno che si trova davanti l'orso, di quella volta che abbiamo spaventato un piccolo di camoscio che è caduto dalla roccia e ci è morto davanti ai piedi. Le descrivo l'odore del timo e dell'origano al pascolo d'estate, mentre la gente sbrandella braciole nei piatti di plastica a tre comparti. Poi faccio camminare le sue scarpe di tela sulla neve fino allo strapombo, con il Lago, mille metri più in basso. E lei prima si lamenta, ma poi rimane in estasi

Anch'io ho dovuto andarmene per capire quanto fosse bella la Valle.

La porto al tendone e le elenco le differenze rispetto ai miei tempi, quando in Valle esistevano solo Vasco, il metal e i Nirvana e chi come me voleva fare per forza l'alternativo ascoltava le cassette vecchie di suo padre.

Si mangia tanto, perché anche i genitori hanno la sindrome da ufficio promozione turistica nei posti piccoli e tenaci come il mio. Mia madre toglie gli anelli dal piano della stufa a legna e ci infila il paiuolo di rame, perché è importante che la gente sappia che la polenta vera non è che la puoi fare nell'acciaio inox. Sfilano vini locali, lucaniche e formelle, pane alle cipolle e succo di sambuco.

E poi è meglio tagliare di netto, decidere all'ultimo che fra due ore si prende il treno per Milano, vedere Milano per la prima volta al sole e pensare che non è un caso, vista la concomitanza elettorale.

E poi un altro treno, un confine nuovo di cui avevi letto sui giornali e un poliziotto col pizzetto ricamato che assicura ad un uomo dai tratti precolombiani che anche se lui non può farlo, ci penseranno i francesi a rispedirlo in Africa.

E poi la situazione si ribalta, ora sono io l'ospite, quello a cui si raccontano le storie, quello che si dovrà abituare alla tastiera AZERTY.

2 commenti:

Felix Lalù ha detto...

Altra storia, che non so se t'ho mai raccontato. Ho giocato ei pulcini dell'Alta Anaunia per qualche anno. Terzino sinistro, anche se sono destro, mancavano i zanchi. una volta era il numero tre no? Non certo un buon giocatore, m'ha sempre fatto impresssione colpire di testa, per dire. Comunque una soddisfazione me la sono levata. In una giornata di primavera, in quel campo di Denno che raccontavi, ho fatto una cavalcata da centrocampo e ho bucato un portiere che probabilmente era più pippa di me. Ho tirato subito prima dell'intervento alla disperata del difensore, poi sono caduto, poi mi sono rialzato. Quel campo sbucciava di brutto, puoi crederci Lilù.
Per la cronaca poi ho smesso son lo sport (dopo un paio d'anni di ciclismo, pensa te) e sono passsato direttamente al rock

bastian contreras ha detto...

Sacratauferla! Felix Lalù impegnato su campi privi di pomari! Pensa che era esattamente il mio ruolo (ma nella Bassa, due anni di pulcini), proprio perché i zanchi non erano dati e io ero il più pippa di tutti. Per dire quando mi arrivava la palla la passavo immediatamente, credo mi avessero detto di far cosi.
Meglio il rock.