domenica 19 settembre 2010

Con una punta d'invidia

Ogni tanto, un paio di settimane di solitudine ci stanno. Fa bene. Puoi chiederti un sacco di cose, leggere libri che non potresti leggere in presenza di una persona che ti interrompe, ascoltare roba tipo Leadbelly, i 13th Floor Elevator o i CCCP e guardare film nella tua lingua. Il problema sorge quando tu sei chiuso nei mattoni marroni della casa di via Tempodavermi e lui (il partner) se la spassa in maniche corte in uno di quei posti dove volevi sempre andare quando ti leggevi tutte quelle cose della Beat Generation. Piove, fa freddo, stai leggendo quel libro che vorresti finire presto e ti arriva un messaggio che dice “Ciao! Sto per andare a vedere l’alba sul Grand Canyon”.

Allora tu non è che augureresti nulla di male al tuo partner – non sia mai – però ti viene automatico pensare che la vita potrebbe essere meglio di così, come ora, a leggere quel libro che non vedi l’ora di rimettere il libreria nella categoria “Ci sono passato”. E qualsiasi cosa tu faccia non ti basta.

È normale? L’ho chiesto. M’han detto di sì.

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