domenica 5 settembre 2010

Django

C’era bisogno di una serata in solitudine. Un sabato sera tranquillo, una tazza di tè, un bicchiere di vino se proprio serve, un disco di Django Reinhardt.

C’era bisogno di pensare alle mie cose, pianificare l’uscita di scena dal mondo del lavoro proattivo, scrivere una cosetta, guardare i film nelle lingue che lei non capisce e ascoltare la musica che non le piace. Che poi si finisca per scegliere Django, che piace anche a lei, è più per l’atmosfera da luci basse e malinconia costruttiva.

C’era bisogno di farsi un piatto di pasta e sdraiarsi sul divano a leggere, con la finestra quasi aperta.

Perché oggi il cielo ha scaldato e si sarebbe stati bene all’aperto. Anche se da fuori entrano ste botte techno. Saranno i vicini, i pochi biondi, perché per ascoltare la techno devi essere biondo e alto quasi due metri. Oppure anche basso, ma con la camicia a righe e le scarpe a punta. Insomma, puoi essere come sei, che non è che tutti gli autoctoni siano biondi, ma devi abitare qui da generazioni, non puoi essere turco, marocchino o caribico, neanche se sei nato qui. La techno è una musica da ballare da biondi.

Io dalla techno ci tengo a prendere le distanze. Ma se a te piace, vai tranquillo, amico biondo, che non sarò certo io a paragonare Django e Armin van Buuren.

E poi stasera fuori c’è odore di piante. Sai che faccio? Esco, faccio due passi, così annuso le piante e vedo dov’è la festa.

La festa mi frega, perché mi porta qua e là, e sembra sempre dietro l’angolo. Sto quasi per andare verso Westerpark, ma poi mi accorgo che il suono viene dalla direzione contraria, forse una festa di quartiere sulla Spaarndammerstraat. E giro angoli e angoli, credendo ogni volta di essere arrivato, per poi farmi spingere più avanti. Guardo le finestre, illuminate di luci basse e luci rosse e luci di design, bianco-lenzuolo. Qualcuno sta facendo delle capriole al primo piano di Aert van Nesstraat n. 3. Da fuori si vedono solo i piedi che spuntano un paio di volte, per pochi istanti, nell’inquadratura sovraesposta del finestrone.

Le strade sono piene di gente sola. Forse chi è in coppia è già a metà film e chi ha ospiti sta lavando i piatti, che quando si è in tanti va sempre a finire che si mangia troppo tardi. E io giro angoli, vedo gatti e finestre, poi comincio a pensare all’NSDM. E infatti arrivo in riva all’IJ e a quel punto la techno può venire solo dall’asilo o dall’NSDM. Considerando che l’NSDM è un locale di musica estrema, noto soprattutto per il volume, e che i bambini saranno biondi quanto vuoi, ma qui vanno a letto presto, direi che la scelta è facile. Io non ho mai saputo dove fosse di preciso l’NSDM, ma deve proprio essere quel gomitolo di luci fuse là, ad un quarto di miglio nautico sulla riva opposta.

C’è una strada che non avevo mai notato prima, percorre un istmo dell’IJ, all’ingresso ci sono due poliziotti in tenuta fosforescente. Escono giovani biondi. Una coppia vestita da Febbre del sabato sera, con tanto di parrucca, altri biondi in borghese, un cavaliere medievale in bicicletta. Poi nessuno, solo io e una coppia in stato d’ubriachezza intima, seduti sul muretto. L’istmo si interrompe in prossimità di uno schermo a led, con scritto “NSDM Werft – 18 minuten”.

Non sapevo che i traghetti per attraversare l’IJ fermassero anche qui, e appena mi scopro deluso per i 18 minuti di attesa mi rendo conto che c’è un’altra cosa che non sapevo: se c’era bisogno di una serata in solitudine, forse non era questa.

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