domenica 17 gennaio 2010

Dell'andar per boschi

Andai nei boschi per vivere con saggezza, vivere con profondità e succhiare tutto il midollo della vita, per sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.

Henry David Thoreau, da “Walden, ovvero La vita nei boschi”



Cazzate.

Andai per boschi per fare un giro. Per coprire l’insegna del McDrive e tutte ste macchine con ste targhe giallonere violente che girano qui. Per allontanarmi dal compiutro e per gioire del silenzio, non in quanto fonte di saggezza, ma in quanto assenza di casino.

Andai per boschi per scoprire tutto ciò che non era vita, nel senso di assenza di calcio, politica, concerti, ristoranti e negozi di scarpe.

Andai per boschi perché mi piacciono le bestie e se capita, magari riesco anche a vederne un paio di quelle piccole.

Andai per boschi domenica verso le quattro. Nel bosco di Diemen, trecento metri da casa, un paio di ettari, delimitati da autostrada, ferrovia e zona industriale.

Sono questi microcosmi olandesi, sti posti che tu ci vai per metterti il cuore in pace con una giornata nella verzura, ma quando ci sei dentro non puoi che pensare infastidito alla regolarità della pista ciclabile, ai grattacieli grigiogrigi che escono da dietro ai faggi, al rumore di motori. Non ho ancora trovato, qui, un posto dove non si senta il rumore di motori, o uno che sia inaccessibile a pedali.

E Loro ci sono abituati. Talmente abituati da mettere i tavolini da picnic nel punto più vicino alla strada. Tu non ancora, e mica perché vieni dalla tua terra seclusa, sui monti fra Heidi e Haider. No, perché chiunque qui sia originario delle terre emerse (nel senso di emerse da diversi millenni) sembra avere la stessa sensazione.

Forse è per questo che qui curano l’architettura. Non si può vivere senza le cose belle. C’è chi sceglie la natura e chi preferisce i locali arredati con garbo, chi si circonda di opere d’arte e chi si accontenta di un bordello, a patto che dentro ci sia almeno una bella figliola. Se uno ha culo, può prenderne anche più di una, non è che le cose belle si escludano a vicenda.

E dire che io sono uno che il sabato pomeriggio va a fare i giri nelle vie più trafficate del centro perché mi piace vedere gente. Mi piace vedere facce, soprattutto quelle strane. E in un regno che per imperialismo ha mescolato la biondezza più estrema con caratteristiche somatiche di Indonesia, Antille e Suriname, di facce strane se ne vedono parecchie. Occhi mandorlati con capelli biondi, facce cinesi con la pelle scura. Negli ultimi cinque secoli, il governo olandese ha impiantato nel Suriname schiavi e lavoratori indiani, cinesi, indonesiani e africani, mescolati agli indios preesistenti, rendendo queste cinquecentomila persone una delle popolazioni etnicamente più diversificate al mondo. Ora molti abitano qui.

E mi piace vedere oggetti: passo più tempo nei negozi di libri che poi a leggerli (e comunque li compro su Amazon). E a guardare scarpe nelle vetrine, a vedere le ultime combinazioni di colori.

Però a volte uno vorrebbe sentirsi solo fra le piante e gli animali. E mi sa che è il caso che cominci anch’io a guardare il Discovery Channel, sperando che per una volta non ci siano solo squali, leoni o serpenti.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bello questo post.
A proposito di cose belle, e collegandomi ad un tuo vecchio post sulla musica che avresti ascoltato quest'inverno, hai provato i Blonde Redhead?
magari "Expression of the Inexpressible?"
Ossequi
Mia

bastian contreras ha detto...

Mi piacciono le Testarosse Bionde. A dire il vero ho un disco solo, ma è proprio quello. Li ho anche visti un'estate ad un concerto gratuito a Goteborg, con tutti che dicevano "ci sarebbe sto gruppetto sconosciuto italiano..."