martedì 12 agosto 2008

Haldern: come sopravvivere ad un festival quando si è vecchi dentro


Sono passati tre anni dal mio ultimo festival musicale.
Nel frattempo ho trovato un lavoro e perso altri capelli, comincio ad indossare con una certa disinvoltura anche vestiti privi di nomi di gruppi musicali e ho addirittura qualche amico che apprezza Madonna più dei Sonic Youth.
Mi serviva una botta di vita, ma una adatta al "working professional" che sono diventato e non c’è voluto molto per capire che Haldern era l’occasione adatta. Tre giorni di musica, il tutto là dove i campi di cereali tedeschi corrono incontro all'Olanda, ma soprattutto a 10 km dalla casa di K, il che significa un materasso con le molle per la notte.

Haldern è un festival di dimensioni volutamente ridotte, un festival dell'intimità, dove chiunque si professi fan di un artista ha a possibiltà di ammirarlo in prima fila. I musicisti di solito sanno di partecipare ad un evento di culto e gradiscono la convocazione.
Pare che tre anni fa gli sport-rocker Sportfreunde Stiller si trovassero nella vicina Bochum per un concerto ed abbiano deciso di fare una capatina per cantare un paio di canzoni. Quest'anno l'ospite a sorpresa è stata la più nota crew hip-hop tedesca, un gruppo che avrebbe potuto partecipare come headliner, ma che ha preferito apparire in segreto in un tendone da trecento posti.
L'intero festival viene organizzato dalla gioventù locale. Gente che non ha idea di chi sia Iron & Wine, ma che ha chiaro in mente quello che vuole fare. In Italia sarebbe impossibile, qui funziona da 25 anni. Qui ci sono figli di allevatori di bestiame che hanno visto Patti Smith.
E tutti partecipano, anche gente che preferisce la disco più becera, ma che non si permette di giudicare male in base ai propri gusti musicali.

Al festival K e io arriviamo nel più multiculturale dei modi, cavalcando una Golf munita di maxi-adesivo della birra Bitburger sul retro, ascoltando sullo stereo gli italici CSI.
L'atmosfera è proprio quella di una festa di paese, K incontra parenti e amici e i palchi custodiscono l'irrinunciabile biergarten come il bue e l’asinello.
L'acqua ci sorprende, scrosciandoci in testa per dieci minuti, appena in tempo per scomparire, aprendo il palco principale per i Foals, un gruppo di ragazzetti inglesi che annunciano di essere più giovani del festival stesso, ma mescolano bene il post punk inglese con un basso da discomusic. Tra l'altro i ragazzini ci sanno fare non poco con i loro strumenti, pur senza cadere nel volgare vituosismo.
I Foals rubano decisamente la scena ai Flaming Lips, headliner della serata, che imbastiscono un'enorme festa di compleanno fatta di coriandoli, Teletubbies e tecnologia, ma faticano a nascondere il fatto che la loro musica è fatta soprattutto di tecnologia, concepita per lo studio e non per palchi all'aria aperta.

Il secondo giorno la pioggia arriva a dare il bis proprio al culmine della calura e grazie al suo tempismo rientra fra le migliori esibizioni della giornata, aprendo per Joan as a Policewoman, che sembra la Cortellesi mentre interpreta Pira Williams, ma ci regala una versione lenta e sussurrata di Fire che avrebbe resuscitato il vecchio Jimi.
I Kula Shaker, nel loro periodo di gloria, erano uno dei pochi gruppi moderni che riuscissi ad apprezzare, anche perché il loro sound guardava indietro di molti anni. Ci sono affezionato e per questo motivo credo siano stati i migliori sul palco, ma non pretendo di essere obiettivo. Comunque con 303 mi hanno fatto tornare fra i banchi della terza C. Purtroppo nessuno ha ancora messo il filmato su YouTube. Nel frattempo ascoltatevi Hush.

Arriviamo al terzo giorno freschi come una rosa di plastica, mentre c’è chi si sdraia nel fango non ancora secco. Siamo dei rocker borghesi, e ce ne sbatte pure poco.
Il pomeriggio non ha troppo da offrire. Jamie Lidell ha un’ottima voce calda e soul, ma sa troppo da discoteca inglese e si vede che le ragazzine adoranti cercano solo un surrogato di Robbie Williams. Si sente quasi odore di vodka Red Bull.
Il cambio di pubblico fra Liddell e Iron & Wine è radicale e per un attimo il prato rimane quasi vuoto, così ci mettiamo in primissima fila, dove la stessa ragazza che avevamo incontrato allo stesso posto per il concerto dei Kula Shaker sta ancora flirtando con lo stesso sosia di Daniel Brühl della security. K le chiede cosa ne pensa dei concerti, lei che è sempre in prima fila. Pare che le abbiano fatto cagare tutti. Probabilmente Daniel Brühl è d’accordo con lei, perché passa tutto il concerto a fare cazzate con i colleghi. Ah, dimenticavo la musica, una buona esibizione.
I Gutter Twins sono nella tenda per gli iniziati, ci mettiamo in coda e, ascoltando la musica che esce dal tendone, guardiamo sul megaschermo esterno un’esibizione che sembra davvero piena di sentimento. Per fortuna alla fine tutti corrono a vedere gli headliner, il tendone si svuota e arriviamo a vedere in faccia Lanegan e Dulli mentre annunciano l’ultima canzone e i componenti della band, che sembrano venire tutti da Alaska, Montana e altri luoghi sperduti. Forse anche per i provinciali c’è un paradiso.
I Maximo Park sono commossi, non gli capita spesso di essere il gruppo della serata. Li vediamo giusto per fare qualcosa, ma non ce ne pentiamo. Vanno decisamente oltre ciò che ci si aspetta da un gruppetto per adolescenti britannici.

Torneremo.

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