mercoledì 22 dicembre 2010

Masse umane in circostanze critiche

Ci sono elementi di psicologia, statistica, sociologia, perfino letteratura nello studio di masse umane in circostanze critiche.

Anche per questo, il fatto che gli aerei che prendo siano sempre in ritardo non mi dispiace più di tanto.

In circostanze inattese, gli sconosciuti diventano persone. Sono albi da colorare con pennarelli che ti danno in mano loro stessi. Come entrare in una libreria e leggere qualche pagina da ogni libro.

Metti un giorno, sotto la neve, in stazione Centraal, scoprire come arrivare all’aeroporto. Una coppia di italiani impauriti, felici di essere aiutati da un paisà che chieda per loro informazioni in inglese. In cambio ci guadagno storie su come gli italiani vanno in ferie, come si spostano, cosa vedono, cosa trovano e cosa cercavano. A volte impari qualcosa, stavolta va bene lo stesso, almeno hai conferma di cose che già pensavi. E questa è la statistica.

Si comincia sempre chiedendo informazioni. “Scusate, ci han detto che se il nostro volo è cancellato, basta che ci mettiamo in coda al gate di un altro volo. È vero?”

Chiaramente non è vero, ma scopri che dicendo così, allo sportello hanno accorciato di molto le file. Ora tutti quelli che hanno sentito questa versione si scambiano informazioni. E poi, quando si constata che l’unica cosa da fare è aspettare e sperare, le informazioni diventano storie, letteratura orale. Uno che prima era un compunto signore con i vestiti appena stropicciati diventa un ingegnere che viene da tre settimane in Cazachistan. Mi racconta della vita degli ingegneri in Cazachistan, cosa c’è da fare ad Almaty e di come sia sempre meglio là che nei paesi arabi, dove non si può bere, non le donne sono vietate e soprattutto il cibo fa schifo. In cambio gli racconto un paio di storie uzbeche, così magari ci può andare anche lui fra due settimane, a fare un giro.

E mentre ci schiacciamo per passare al gate, una ragazza davanti a me, accento romano alla bocca, passaporto peruviano in mano, ci informa che i venti cinesi che spingono da dietro non hanno il biglietto, ma insistono per passare, ed è per quello che non riusciamo a salire sull’aereo. “Come lo sai?” “Lo ha detto la hostess là davanti”. Per un attimo tutti ci credono, spingono i cinesi con spallate che accigliano di sorpresa e incomprensione diversi occhi a mandorla. Poi si scopre che lo hanno, il biglietto: lo tengono in mano, piegato bene, insieme al passaporto giapponese. Dopo poco, l’ostilità di tutti verso i cinesi si placa e la romana de Lima viene zittita dal silenzio.

C’è un ragazzo con un sorriso simpatico che invita al dialogo. Lavora alla FIAT. “Ma allora non è vero che in Italia i giovani non hanno speranza?” Torna dalla Cina, dove i torinesi stanno costruendo una macchina a basso costo, da vendere solo là e in America latina. Si parla di italiani e stranieri, modi di lavorare nel mondo. Lui ci mette Italia e Cina, io Olanda e Irlanda.

Poi, quando ci comunicano che il carrello è gelato e devono trovare un modo per sciogliere il ghiaccio, entrano in scena i tecnici. Ci sono quelli del “Non è possibile in un paese civile”, che per una volta non è l’Italia, i fatalisti (“Meglio che congeli qui che in volo”), gli scettici (“Ma in volo l’aereo non gelerebbe comunque?”) Mi impressiona come in Italia oggidì ci siano così tanti esperti.

Dopo il volo e una notte che dura tre ore, sul pavimento in radica plastificata di un bar della Malpensa, salgo in treno e incontro un gruppo formatosi in un’altra situazione imprevista, dopo che un treno delle ferrovie austriache, prenotato in anticipo, si è fermato ed è ripartito senza aprire le porte.

Due circostanze d’emergenza si attraggono ed entro a far parte di questo gruppo già affiatato. C’è un ragazzo che ha l’aria del promettente neolaureato, ma fa l’operaio (morale: “non giudicare le persone dall’esteriorità, parte n”), due ragazze che ci raccontano del matrimonio di una di loro (spunto: “evitare il matrimonio”), un distinto signore dalla capigliatura a nuvola, che solo all’altezza di Rovereto scopriremo essere greco (esperienza: “c’è chi parla le lingue meglio di te”), accorgendoci che quello che per ore avevamo presunto essere un manager giusto un po’ scapigliato, è solamente diretto al matrimonio del cugino e si sente in imbarazzo nel vestito delle feste (“non giudicare le persone dall’esteriorità, parte n+1”).

Alla fine la protesi musicale nuova rimane silente in una tasca del giaccone, e il segnalibro dentro Eggers non si sposta di una pagina. Per loro ci sarà tempo al ritorno, sperando per una volta in un viaggio piacevolmente noioso.

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