martedì 28 dicembre 2010

Come scroccai bevande in nome dell'amicizia (bilogia degli incontri, parte 1)

La ragione per tornare a casa il meno possibile è che quando lo faccio incontro tutti i miei amici. È meglio aspettare, tenere in fresca l'occasione, così quando succede è festa grande. Tanto per gli interstizi c'è Facebook.
Poi quando finalmente è tempo, posso rimbalzare da un bar all'altro a bere birre, sprizzi e spume con gli amici del liceo e i compagni di canne passate (molto passate), tutti con la battutina sul fatto che abito ad Amsterdam e io che cerco di spiegargli che la legalità smacchia di piacere anche gli sporchi più impossibili.

Purtroppo c'è sempre chi non si riesce ad incontrare e stavolta è toccato alla Fabry, colei che fra innumerevoli malpagati meriti in campo artistico vanta (?) quello di avermi introdotto prima acusticamente e poi fisicamente ai Sonic Youth. La sera del 25 era a due chilometri da casa mia, ma non sono riuscito a raggiungerla perché 1) i chilometri erano in linea d'aria e quando c'è una valle di mezzo non è veramente la stessa cosa e 2) venivo dal far la spola fra i due versanti della famiglia, operazione ostacolata peraltro da quattrocento euro in uva liquefatta, per fortuna spesi da mio cugino. Lo spirito è: pazienza, ci si rivede fra qualche mese. Nel frattempo mi piaceranno diversi dei tuoi link, e vediamo di battere due righe sul riquadro bianco di Gmail.

Invece come di consuetudine ho incrociato il Daniele, che dopo il liceo ha acquisito il privilegio di essere definito per nome e non per cognome, avanzando in una posizione di prominenza fra i diversi danieli della mia rubrica telefonica. Non ha Facebook, non ci sentiamo per email, e anche per questo ci si trova con costanza dal vivo. Stavolta mi ha premiato con un prezioso resoconto su come si è fatto fregare a Pechino. Volontariamente, per vedere l'effetto che fa, sperimentando con azioni e reazioni. E ci ho pure guadagnato una copia di Howl del vecchio Allen, che ha comprato per me e solo me - lacrimuccia - alla City Lights di San Francesco. Capirai che scambiato con una cioccolata calda e una cedrata ho fatto un affarone.

E poi ho incontrato lui, compagno di ricreazione liceale nonché di un importante Bildungsroman, ora assurto al ruolo di dolo-mito di tutti i giovani figli di Dioniso e di genitori chiamati Pero e Bepina. Con lui è anche un po' come bere una tazza con un cantante che ti piace e parlare delle sue canzoni, o un'altra con un Hundertwasser vivo e chiedergli delle sue pitture. Abbiamo tracciato parallelismi su come ci siamo trovati morose del posto più cagone d'Italia (lui) e d'Europa (io) e i due brulé li ha pagati lui, mi pare.

E poi ci sono gli amici che ti arrivano preinstallati, come la scheda da dieci euro nei telefonini, o Windows sul computer nuovo. Frequentavate lo stesso locale, l'asilo delle canossiane, fin dai tempi in cui lo stile in voga era tutina e ciuccio. Il Walter lavora in banca, il Simone fa il commerciale estero e il Franz è il tecnico informatico di una scuola superiore ed è quello che guadagna meglio. Si parla di calcio (nell'ordine Milan, Inter, Juve), donne (zero, Bielorussia, paese a fianco) e lavoro. Si fa la conta di morti, malati, impalmati e impregnate, chi è sparito dalla scena perché ha trovato la morosa, chi costruisce casa e chi versa in condizioni critiche per colpa degli spiriti. Stavolta pago io, tranne col Franz, che si sente generoso.

Nessun commento: