lunedì 5 luglio 2010

Sirigu e io

È quasi come se il quarto portiere si giocasse la finale di coppa.
Solo quasi, perché il quarto portiere sogna di farlo, mentre quello metaforico preferirebbe vedersi le partite degli altri con una biertje in pugno e un qualsiasi oggetto arancione addosso, che eliminata la squadra buzzurra, fa sempre comodo averne una di riserva.

In pratica va così. Va che qui c’è un’epidemia di bambini. Le mie colleghe cadono incinte una dietro l’altra, è uno sfacelo. Assegnamo un numero per anzianità nell’azienda e vedi che Due e Tre sono entrambe incinte. Per dire, Quattro sono io e dire grazie agl’Idei che Uno ha in mente solo il lavoro e non la vitavera.

Anche per questo, con Due già fuori dai giochi e Tre in prossimità del congedo di maternità, Uno decide di anticipare le vacanze e farsi subito due settimane di rilass sulle Alpi austriache (che poi è lecito chiedersi cosa abbiano gli austriaci che non abbiamo noi laggiù in Trentino).

Così ci si trova con Tre a dare gli ordini e Quattro all’erta sì, ma sempre col culo coperto. Culo coperto fino a un certo punto, perché Tremmezzo (designazione del figlio di Tre) decide che no, la mamma non lavora e mercoledì scorso, puntuale come la smentita di un politico, prorompe le acque come un surfista a cavallo di un’onda amniotica, con un paio di mesi di anticipo, giusto per non perdersi la finale dei mondiali.

Come dargli torto? Considerando che questo pargolo italofinnico nasce con passaporto olandese, se i mondiali non li vince ora, non li vincerà mai più: la stessa cosa che dicevo io nell’82, solo che avevo due anni a non ricordo neanche di averlo detto.

Ora però, la situazione si verifica in un momento di isteria generale, con il grande capo (Sezione Europa) che inveisce e per sadismo ci costringe a rifare quattro lavori, da tradurre in 13 lingue, fra le quali tutte quelle scandinave, in un periodo in cui ogni abitante di qualsiasi paese con una croce rovesciata sulla bandiera è piacevolmente insediato in capanne di bambù fra Santo Domingo e Phucket con la storia delle vancanze di mezza estate.

È qui che entra in campo il quarto portiere, che tradotto in versione Sudafrica 2010 significa Sirigu. Il nome, da solo, rende l’idea. Perché puo starci che si faccia male Buffon (c’è stato), ma allora c’è Marchetti e se si fa male Marchetti c'è De Sanctis. Anche la sfiga è relativa e non vengono contemplate altre misure, tanto è vero che il quarto, Sirigu, appunto, è rimasto a casa. Ecco, io sono Sirigu, che viene chiamato a mezzanotte con l’ordine di presentarsi all’aeroporto militare di Coverciano la mattina alle 8 per prendere il C130 della FIGC e presentarsi a Johannesburg alle 4 in punto per giocare da titolare un partitone contro un avversario ostico (Paraguay, Nuova Zelanda o Slovacchia, a voi la scelta).

Il bello è che, alla vigilia della convocazione e di otto ore di straordinari in tre giorni, mi stavo chiedendo se veramente valeva la pena di privarsi delle piccole gioie della vita per dedicare anima e deretano al lavoro. Ancor più bello è che la risposta era praticamente sicura, giusto in attesa di firma e marca da bollo: NO.

E poi è arrivato questo, e anche un’altra cosa che non citerò e io sono ancora qui, a faticare. Ecco, vorrei essere un vero quarto portiere: starmene seduto sugli spalti, guardarmi la partita a sbafo, percepire lo stipendio di un calciatore di basso livello e spassarmela millantando il mio stato di calciatore alle avventrici dei bar più esclusivi della città. E poi farei come Cannavaro, solo che invece di Dubai, farei sei mesi di qua e sei mesi di là, in giro per il mondo. E c’è che l’ha fatto davvero. Guardate lui (qui per chi sa il tedesco), che però non è un portiere, ma un allenatore. Lui sa cos’è la vita.

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