martedì 10 febbraio 2009

Tutti i miei coinquilini: storie di vite vissute

Ho appena annunciato a Baldo che forse a fine mese me ne vado di casa.
Chi ha avuto la grazia di leggere il post precedente saprà che Baldo non è mio padre, né il mio ragazzo, ma semplicemente il mio fedele coinquo da quasi un anno.
Baldo non si chiama Baldo, né tantomeno Baldovino, ma la sua versione olandese, ricca di grafemi che la maestra Marisa non ha ritenuto utile insegnarmi e fonemi che non ho mai sentito nei miei primi sei mesi di vita, quelli dove si assimilano i suoni.
È un artista, di quasiprofessione (è un quasifotografo che dipinge a tempo perso) e di temperamento. Uomo solitario, una passione per la solitudine agreste che riesce a coltivare nel punto più tranquillo del centro d’Amsterdamia. Come già accennato, zero amici, mille amiche, tutte viste passare a casa una e una sola volta, nessuna mai fermatasi per la notte. Quando arrivano le ragazze, Baldo si chiude in soggiorno e non ama che io entri. Ci ha pensato già la prima volta a mettermi in guardia. All’inizio credevo che fosse gaio e il soggiorno chiuso svolgesse le mansioni di un confessionale, ma ora invece sono convinto che sia quello che in tedesco si chiama Frauenversteher, “capitore di donne”, solitamente inteso con accezione negativa, ma non in questo nostro caso. Baldo è un uomo sensibile, come traspare dai suoi bianconeri su pellicola. Un uomo tenero che gioca a rugby. Un gigante buono, di quelli che visti da lontano sembrano tutti tonti. Ma lui ti spiazza, perché non lo è.

C’è chi fa liste delle tipe che si è fatto, io invece sono più noto per i coinquilini che ho avuto. Nel senso che ci ho abitato insieme, ovviamente.
Prendendo in considerazione solo i paganti affitto ed escludendo quindi genitori e famigli, Baldovino è il mio numero ventiquattro. Una cosa come uno al mese per due anni, ma sparsi nell’arco di nove anni, uno dei quali però in appartamento da solo e più di sei mesi sommati con la famiglia. Dodici e mezzo italiani (sei toscani, due bolognesi, un ciociaro, una ligure, un siculo, il Pugliese e mezzo piemontese), tre tedeschi (uno dell’Est), tre irlandesi, due slovacchi, uno a testa per Spagna, Francia e Olanda, mezzo greco/etiope. Tredici ragazzi, undici ragazze, fra le quali una sola partner, sei lavoratori accertati, uno stagista, parecchi studenti e diversi nullafacenti.

Mi piace pensare che un giorno, il mio secondo romanzo si chiamerà “Tutti i miei coinquilini” (il primo invece non ha titolo, ma nel peggiore dei casi sarà un Moccia alternativo su quattro ragazzi in una valle imprecisata fra i monti che mettono su un gruppo rock, il più grande rimpianto della mia vita valligiana. Chiusa parentesi. “Tutti i miei coinquilini” sarà basato su una storia vera, come i filmoni americani e analizzerà la psiche di alcuni soggetti selezionati.
Parlo di psiche, perché quello psicologico è un tema dominante nel mondo del conquilinaggo. L’apetto stimolante (fino ai 25 anni) e fastidioso (dopo) di questa fine arte è proprio passare al’improvviso da sconosciuti totali all’intimità. Cristiano per esempio era pagano, un uomo misterioso e di molto metallaro che in facoltà chiamavamo il Figlio del demonio (con accento bolognese). Tutto ciò fino alla prima sera di convivenza, quando passo da camera sua per andare al cesso e lo trovo disteso sul letto nudo al lume dei suoi ceri rossi, mentre fa a malapena in tempo a coprirsi un durone di una certa portata con il giornaletto porno che aveva in mano.

E la mattina dopo ha la faccia tosta di dirmi che viste le circostanze crede di avere il diritto di pagare un affitto più basso.

La lezione di vita è che nessuno è normale, tutti abbiamo le nostre assurdità, e non parlo di piccole stranezze, tipo usare il bagnoschiuma degli altri, cosa che peraltro più di metà dei miei coinquilini maschi ha fatto con me, ma di vera demenza. Una cosa che ho imparato dai miei coinquilini è che ogni essere umano ha una storia personale potenzialmente degna di un romanzo o di un film e una concezione della vita degna di un libro di filosofia.

Volevo dare tre esempi e stabilire una serie di awardszz, ma come si fa a recensire un coinquilino in cinque righe? Vorrebbe dire tradirlo. In cinque righe si può parlare di una persona, ma la storia no, quella necessita come minimo di un novanta minuti in sedici noni.
No, facciamone invece una serie monografica a puntate. Aggiungiamo un pizzico di vogliurismo e gli elementi di un serial televisivo e parliamo per una volta di qualcun altro su questo blogghe dove mi sembra di parlare solo di me stesso.
Il seguito ovviamente alla prossima puntata.

2 commenti:

Sfabix ha detto...

Ahah troppo carino questo post :-) in effetti a vivere in condivisione ne vedi di storie... io per ora sono fuori casa da 9 mesi ma ne ho già viste un po': dalla nonnina 79enne piccolo-borghese rompicazzo al produttore di musica hard-core... ora sto per iniziare una nuova avventura con un netturbino e un altro tizio ancora mai visto...

bastian contreras ha detto...

Grazie per il commento. Direi che in 9 mesi ne hai viste già parecchie...