mercoledì 25 giugno 2008

storia del mio ringiovanimento sonico



in un mondo dove trionfa il materialismo, è importante poter quantificare. non solo merci e oggetti, ma anche i sentimenti. la creazione di liste di top five, ten o twenty ci consente di quantificare i nostri gusti in termini di libri, dischi, pratiche sessuali e qualsiasi altra cosa.

ebbene, la vetta della top x dei miei musicanti preferiti è occupata da anni dal più famoso fra i gruppi non famosi, i sonic youth.

mi ci è voluto un po per scoprirli, i sonichiuzz. in parte perché in età più tenera mi rifiutavo categoricamente di ascoltare qualsiasi brano musicale prodotto dopo il settanta, e in parte perché non avevo capito cosa c'era dietro alla loro musica.
già in terza liceo la mia compagna di banco idolatrava la gioventù sonica, creando in me una sottile vena di curiosità, anche perché la mia compagna di banco, che di nome fa fabrizia e che la gioventù la idolatra abbastanza tuttora, è una che musicalmente è stata sempre più avanti degli altri, nonostante la sua provenienza dall’angolo più remoto della nostra culla dolomitica.

mi piaceva il modo di fare della gioventù, quell’atteggiamento che più che rocchenrolle fa tanto pop art, ma non mi piaceva la musica.
eh già, dice il saggio, son buoni tutti di far casino.

poi, un paio di anni dopo, la mia relazione con la musica prende una brutta piega. convinto che il virtuosismo sia tutto, piombo negli oscuri meandri del progressive dei primi anni settanta. mentre mi propino gli emerson, lake & palmer non mi accorgo che mi sto solo facendo del male. nella primavera del duemilaedue emerson e io ci accorgiamo dei reciproci errori e io trovo il coraggio di tagliare. la prima cosa da fare è correre a comprare qualche nuovo cd e fra i fortunati c’è goo, le cui prime tre canzoni mi erano piacicchiate una sera dell’anno prima a casa di un amico.
goo è un facile approccio, contiene tutto quello che serve per spezzare completamente con emerson.

dirty boots comincia con cautela, quasi chiedendo permesso, alza gradualmente la voce, finché thurston ti convince che emerson è meglio lasciarlo a chi di musica ne sa più degli altri.
tunic invece parte con una chitarra così croccante che sembra di camminare sulle patatine e poi là, con le patatine sbriciolate sul pavimento di un loft della bowery, kim cerca di parlarmi di karen charpenter e della sua malattia, ma quando dice “you’re neve going anywhere” capisco che parla a me e non posso che darle ragione.

era proprio di un po’ di casino che avevo bisogno. ma il casino degli iuzz non è casino e basta. è suono. suono nel senso che comprende sia il rumore che la musica. è rock, ma lo stesso effetto che altri raggiungono con accordi di quinta lo ottiene amalgamando chitarre più storte che distorte.

è tanta la musica che vuole essere diversa, uscire dai canoni rock. molti ci riescono col loro virtuosismo, suonando scale esotiche su tempi assurdi e il risultato può essere ascoltato solo convincendosi che deve essere buono per forza, visto che i musicisti sono così bravi. questi sono gli sportivi della musica, quelli che cercano di battere i record di velocità o di tempo. ma la gioventù sonica no. loro non fregano l’ascoltatore con la loro tennica, loro vogliono suonare rock, magari pop, tanto la differenza è sottile, ma niente seghe musicali. ai sonichiuzz interessa esprimersi, parlare di qualcosa. kim racconta storie di donne, thurston è più goffo con i testi, all’inizio usava simboli piuttosto scontati e aveva una predilezione tutta americana per termini come “death”, “skull” e “shoot”, ma poi ha sviluppato un ingegno tutto suo nel parlare di gente, libri, arte, avvenimenti.

thurston è un po’ un ragazzo secchione, che legge libri di fantascienza e poesia beat e si interessa di arte povera pop. la sua goffaggine fa parte del gioco.

forse è questo che sono gli yuzz, la più grande manifestazione musicale della pop art. oltre ad unire elementi visuali come moda e immagine a musica e letteratura, con il loro talento possono permettersi di suonare diverso, e lo fanno, ma cercando di ottenere risultati tradizionali. rivoluzionano il processo, ma il fine resta quello della tradizione. la musica di tutti i giorni, popolare, pop.

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