giovedì 5 giugno 2008

mark twain - a tramp abroad (1880)


non amando paricolarmente i carciofi, per combattere il logorìo della vita moderna ho dovuto trovare un’alternativa al cynar. essendo non poco pigro e desiderando costantemente di essere da un’altra parte, ho scelto la letteratura di viaggio.

suonerà banale, come tutte le cose ovvie, ma leggere un libro sull’africa è un ottimo modo per sconfiggere il grigio irlandese e viaggiare senza visto e malaria.

l’importante è leggere lentamente, fare una sosta in ogni luogo e farsi durare il viaggio almeno quanto è durato all’autore.

negli anni ho letto di molti luoghi da molti autori, di varia caratura intellettuale. ho iniziato con l'america di bill bryson, per passare alla patagonia di chatwin, girando l'irlanda in autostop con un frigo e studiando i problemi dell’africa postcoloniale di paul theroux.

poi il mio interesse ha cominciato a divagare e complice un corso frequentato all’università in erasmus ho cominciato ad interessarmi ai viaggiatori del passato, quando anche andare in germania o francia era una bella impresa.

ora sto lentamente finendo “a tramp abroad” di mark twain, che non è decisamente un capolavoro, ma è almeno divertente e decisamente originale.

a tramp abroad è un libro messo assieme disordinatamente, una specie di best of, o meglio, il meno peggio di un twain già invecchiato rispetto a “the innocents abroad”, che a stando alla critica (non l’ho letto) ha una struttura più coerente.

ma il bello del tramp abroad è che spiazza. twain unisce resoconti seri a grotteschi aneddoti di pura fantasia e narrazione di avvenimenti reali in tono umoristico. in pratica fin dall'inizio non si capisce cosa è reale e cosa è inventato. a volte sembra che scriva di cose serie, per poi accorgersi che il racconto sta diventando troppo surreale, altre volte succede il contrario, come quando l’autore ci annuncia la storia di un’escursione alpinistica, uno aspetta una storiella da ridere come quella immediatamente precedente e si finisce invece a parlare di morti e feriti.

il pretesto della narrazione è l'idea di girare l’europa a piedi, partendo dalla germania, per trasferirsi in svizzera, lambire la francia e terminare a venezia. in realtà twain riesce sempre ad inventarsi una scusa e farà ben poche miglia a piedi.

le prime cinquanta pagine passano tutte a capire se quello che twain racconta è reale o fittivo, ma quando ci si abitua allo stile e all’umorismo fatto di esagerazioni rabelaisiane ci si diverte di brutto.

è interessante leggere dei rituali masochisti dei gruppi studenteschi delle università tedesche e scoprire che le gallerie di milano sono rimaste uguali dopo più di cent’anni. twain si diverte anche a prendere sanamente per il culo il tipico turista americano, che non sembra esser cambiato poi molto e a denigrare la cucina europea in favore di quella americana (almeno da questo punto di vista qualcosa deve essere cambiato). lo sapevate che per gli americani l’acqua da bere deve essere ghiacciata? per twain l’acqua tiepida sembra essere il più grave problema in europa. è interessante scoprire che cent’anni dopo e dal fronte inverso, beppe severgnini conferma in “un italiano in america” che la stessa ossessione è ancora viva.

l’umorismo è uno strumento del quale twain si serve spesso, ma in questo caso ha uno scopo più che mai definito: quello di sputtanare potentemente i resoconti dei viaggiatori del romanticismo, molto popolari al tempo.

comparato in effetti ai vari goethe e compagnia, twain fa la figura del tipico americano che con una singola cazzata bene assestata riesce a gettare fertile merda fresca sulla pomposità dei letterati europei. lo stesso che fanno a parti invertite benigni e tom waits in down by law, tanto per intenderci con i cinefili.

si tratta di un libro per appassionati del genere, non per tutti. insomma, leggetelo se ne avete cazzi, se volete leggere di un viaggio diverso in un tempo diverso. una risata vi garantisco che ve la fate. probabilmente però se vi guardate down by law ve ne fate anche due.

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