mercoledì 11 giugno 2008

il giezzz come anestetico

qualche tempo fa mi sono chiesto cosa ne pensavo del gezzz. mi sono risposto in maniera possibilista ma poco chiara e rendendomi conto di questa imperdonabile lacuna per un musicofilo snob qual io sono, sono corso ad informarmi su cosa procurarmi.
in poco tempo mi sono impossessato della materia prima, tenendomi pronto a concedere ad ogni artista una buona quantità di ascolti prima di giudicare, perché si sa, il jazz è materiale ostico, richiede applicazione, conoscenza tecnica e orecchio. essendo il sottoscritto completamente sprovvisto delle ultime due doti, ho deciso di applicare al massimo la prima.
ebbene, sono bastati pochi ascolti per innamorarmi perdutamente di a love supreme di john coltrane. base ricca e piena, sassofono dominante, un sussulto agitato ma tranquillizzante dall'inizio alla fine.
miles davis e mingus mi risultavano invece più ostici. o meglio, adoravo certa roba, ma non riuscivo proprio ad interessarmi ad altra. già il fatto di capire alcune opere jazz bastava però per ringalluzzire il mio ego. voglio dire, se riesco a farmi piacere musica così articolata e complicata, vuol dire che sono un musicofilo fatto e compiuto.
è bastato molto poco però per rendermi conto che il motivo per cui mi ero appassionato ad alcuni dischi jazz era molto, molto semplice: le basi al contrabbasso e la batteria suonata con le spazzole mi rilassavano. "che c'è di male?" diranno i miei 25 lettori, "che male c'è?" ribatteva pino daniele. ma non capite? il motivo per cui mi piaceva o'gezze è che suonava così incommensurabilmente cillaut! mi stavo facendo dei trip postmoderni fatti di stress & relax con materiale sacro, stavo usando john coltrane come una versione omeopatica dello xanax. in pratica è come confondere i sacri rotoli della torah e i rotoloni regina.
per un po' il pensiero dei rotoloni regina ha tenuto trane e me a bordo ring. poi però mi hanno passato bitches brew, da pronunciarsi rigorosamente biccisbrù. e santoddio, qui le cose sono cambiate. bitches brew non ha nulla di cillaut, ci suona praticamente chiunque, ci sono chitarre, svariate tastiere, diverse percussioni, ottoni, in pratica un troiaio (da qui forse il nome?), ma un troiaio divino. lo mettevo su mentre lavoravo e per gran parte delle due ore di musica entravo in una specie di trance contemplativa. in pratica mi ci perdevo. la musica è così intricata che non riconosco alcuna linea melodica, quindi ogni nuovo ascolto è come se fosse il primo. l'unica eccezione è il pezzo per me più geniale: l'ultimo. quella feio dove sembra continuamente che i musicisti stiano per suonare il riff di wild thing, per poi lasciarlo a metà. sono sicuro che nessuno là intendeva suonare wild thing, ma qui scrivo quello che pare a me e per me quando si dice che in quel disco miles contamina il jazz con il rock io capisco che lo fa suonando wild thing a metà. tra l'altro il riff di wild thing, detto anche riff di louie, louie, è l'inno della musica facile.
dopo biccisbrù, io e il jazz siamo amici, nel senso che lo tratto in maniera cordiale ed onesta, come si tratta un buon collega che però proprio per il fatto che è bravo e sa il fatto suo non è sempre facile da trattare. io lo ascolto quando mi va, anche come cillaut, ma vedo di ascoltarlo in maniera personale, senza leggere la critica, ma leggendoci un po' quel cazzo che pare a me. in questo modo gli restituisco una certa dimensione di coerenza, e lui è contento.

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