sabato 19 marzo 2011

Tempus fugit

A fine giornata mi rendo conto di aver buttato via altro tempo. E io vengo da una famiglia che il peggio che puoi fare è sprecare il tuo tempo. Perché quando mio padre era piccolo piccolo e il mio paese era ancora terzo mondo, se le sorelle lo vedevano poltrire gli inventavano un lavoretto da fare. Anche inutile, ma da fare. Non c’era mica Topolino, in Val di Non, o le dieci lire per comprarsi il gelato. Musetti di maiale per colazione e carrube da succhiare come lusso. Poi è arrivato Carosello, ma quella era l’unica cosa che c’era e infatti ne parlano ancora come della rivoluzione. C’erano vacche, grano e alberi da frutta e i passatempi avevano scopi produttivi. O almeno così mi dicono i miei.

Forse un giorno racconterò così anch'io ai miei figli, “ai miei tempi non avevamo i GPS per orientarci in centro e gli ipad erano grandi come Bibbie”. Il tempo scolorisce le fotografie e colora le storie, ma questa è un’altra storia.

È che tutto quello che ho da fare è sul computer e ho limiti di tempo, perché dopo tre ore al computer mi viene una testa che neanche un ritratto di Francis Bacon. E quelle tre ore le comincio con la solita rassegna stampa, poi Facebook e magari ciatto un po’ con Lilù e qualche amico lontano lontano. Poi mi metto a lavorare ai miei ambiziosi progetti e dodici minuti dopo mi si trova sulla Wikipedìa alla pagina della nazionale di calcio dell’Occitania.

E a questo punto il computer mi intarla già gli occhi, ma continua tenere la mia mente per un orecchio. Cerco di allontanarmi per il bene della mia salute, ma vengo risucchiato da centinaia di piccole cose da fare che promettono di prendermi mezzo minuto appena, ma sommate occupano il resto della giornata. Tutto questo a scapito delle cose che richiederebbero più tempo, che guarda caso sono proprio quelle importanti, quelle che avendole fatte mi permetterebbero di dire che non ho sprecato il mio tempo. Quindi finisco per passare comunque l’intera giornata al computer e verso sera il cervello bussa alla scatola cranica per farsi sentire. A volte penso che si aspetti che gli apra.

Sono colpi sordi e ritmici, che mi ricordano che l’unica soluzione è prendere la via del piumone. E comunque domani mi metto d’impegno, eh.

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