giovedì 10 marzo 2011

Io che dell'Africa non ci ho capito una mazza

Appena prima di prendere il taxi per tornare a casa, all’ombra di un baracchino sulla spiaggia, paghiamo due succhi di bissap, un bouye e due mafè di nervo d’agnello e Bakari ci saluta da amici, ci augura di fare un sacco di soldi.

Noi gli diciamo che ci sono cose più importanti dei soldi, tipo la salute, l’amore e la Champions League. Lui ci asseconda, questi toubab così ricchi da non capire il valore dei soldi.

In Senegal i soldi sono importanti. In effetti sono sempre importanti se ne hai pochi e pensi che se ne avessi di più non ci dovresti più pensare. E invece anche quando ne hai tanti ti sembrano pochi e la barriera fra africani e toubab è proprio qui, nel punto in cui loro non capiscono che il fatto che tu non sia privo di svanziche non significa che tu le voglia per forza spendere o regalare.

E non è che sia sempre così, perché certi turisti i soldi li regalano, soprattutto a chi gli sta simpatico. Per questo in Senegal la simpatia è diventata un’industria, la chiamano la teranga, l’accoglienza.

Non che prima di andarci non mi aspettassi dagli autoctoni un certo appetito per le mie piotte CFA, ma una cosa è chiedere, un’altra se ogni applicante prima ti saluta, ti chiede come stai e come ti chiami, se ti piace il Senegal, da quanto sei là, quanti mesi starai e ti invita a prendere il tè. Puoi evitare di rispondere, ma se non vuoi essere scortese ci puoi perdere giornate.

Ecco, il Senegal è bellissimo, ma ha i suoi problemi. E forse l’accoglienza non è neanche il più grave.

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