venerdì 22 ottobre 2010

Il senno

Sono in ufficio e aspetto i file. I file non arrivano. Li aspettavo sto pomeriggio alle 2 e non sono arrivati. Dicevano: arrivano alle sei. Alle sei non sono arrivati.
Allora porto giù la bici, la imbarco sulla zattera di legno che hanno messo da quando hanno chiuso il ponte per lavori. Due uomini la spingono da un versante all'altro del fiume con due manici di legno rimovibili, che fanno presa e scorrono lungo un cavo di metallo teso fra i due versanti del fiume.
È una scena da National Geographic, col cielo color vaniglia, rosa e azzurro, che sembra una luce di neon. Arrivo a casa e mi collego al computer dell'ufficio, e i file non sono ancora arrivati. Organizzo la serata, fra email che mi dicono che i file arriveranno presto.
I file non arrivano e comincio a pensare, per ingannare il tempo, io che col tempo vorrei essere sempre onesto, perché se hai bisogno di ingannarlo, il tempo, allora forse è meglio che ti iscrivi in palestra, ti compri il cofanetto di Lost o ti colleghi a Meetic.
E poi penso che non sono l'unico, il venerdì sera, alle 10, a lavorare. E forse è ancora peggio, perché il lavoro dovrebbe essere un mezzo, mica un fine.
E se vuoi puoi farne anche un fine, se ci credi, come la mia direttrice, che non a caso, è diventata direttrice. Io invece no, di essere direttore, porca bestemmia, non me ne sbatte una mazza. Per me, il lavoro, è decisamente un mezzo.
Lo faccio per soldi, voglio li sordi, per uscire, stasera, incontrare i miei amici, comprare birra belga, berla, senza pensare al domani.
Con il senno di poi, il senno di domani mattina, forse è meglio lavorare.

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