martedì 12 ottobre 2010

Il logorio della vita moderna (bilogia della roba buona, parte 1)

“Ouderwets lekker”, dice la confezione: “buono come una volta”. Cos’è? Una salama? Formaggi caserecci?

No, placchette di liquirizia. Sottili, dicono che una volta i ragazzini delle elementari olandesi se le avvolgessero al dito per far credere alle maestre che si succhiassero il dito, invece delle caramelle, che quando sei un bambino l'igiene orale è tutto. Alla maestra Marisa dava più fastidio il dito in bocca delle caramelle, ma non è questo il discorso. È più che altro che tu al concetto di Buono come una volta ci associ qualcosa di nutriente, genuino, sano, bilanciato, equilibrato, casereccio, artigianale, fatto in casa. Invece no.

Ecco, ti vedo, là davanti. Alzati, dillo. L’hai detto: “Eh, ma questi qui sono nordici, non hanno il senso del gusto che c’abbiamo noi che ci hanno civilizzati prima”, come se fosse merito tuo se i Nostri conquistavano l’Europa mentre quassù c’erano ancora gli Snorky.

Siediti, bestia.

Lo sai che le cose, quando invecchiano, acquistano valore. Tra vent’anni anche tu, bestia, aprirai un sacchetto di patatine Pai, trovate in un negozio di roba vintage e praticamente cartonate di stagionatura ed esclamerai “Ah, le cose buone di una volta!” Ti sembrerà l’apice del mangiar sano, quel pacchetto di patatine, e non solo perché fra vent’anni i pomodori li venderanno nei tubetti del dentifricio.

È che le cose invecchiano, anche tu invecchi e tendi ad idealizzare ciò che ti ricorda i tempi andati. Le patatine Pai non ti hanno ucciso di grassi insaturi, ma solo avviato alla gioia che puoi ottenere masticando ed ingoiando. Le patatine Pai sono il Bene. Le Pringles, che ti ficcavi in bocca più avanti, da adulto responsabile, con già a carico una moglie fuggita dall’amante con figli, casa e suv, quelle non ti suscitano gli stessi ricordi. Sono arrivate dopo, quando la mattina non ti alzavi per scoprire il mondo, ma per fare straordinari. E per di più sono americane: le Pringles sono il Male, il logorio dei tempi moderni.

E non vale mica solo per il cibo. Ho sentito gente della mia età decantare ad alta voce le lodi dei cartoni giapponesi che passavano in tivvù quando eravamo piccoli, contro la volgarità di Pochemon e porcate moderne. Chi è nato qualche anno prima di me sicuramente sosterrà la superiorità del dolce Remì su Mila e Sciro, fino ad arrivare a chi è convinto che Carosello sia l’unica forma d’arte dell’intrattenimento giovanile. Carosello: uno spettacolo fatto interamente di pubblicità. E poi saremmo noi, quelli a cui la tivvù fa il lavaggio del cervello.

E poi c’è la generazione dopo la mia, che su Facebook decanta i pregi dei suoi cartoni, quelli che per la gente della mia età sono già corrotti come i tempi moderni. I tempi cambiano, e senza un po’ di elasticità mentale, cambiano solo in peggio.

1 commento:

Aria ha detto...

Da adolescente schifavo i cartoni dell'epoca, senza poesia né valori. Ripensandoci bene, anche i miei erano un mucchio di stronzate, da Mimì - che per essere la migliore correva in montagna con le catene alle caviglie - a Jam e le Ologram, un gruppo pop-punk-hardrock di strafighe, ma tanto buone. Il mio preferito resta Pollon, in saecula saeculorum.
Detto questo, a parer mio l'elasticità mentale dovrebbe maturare nel periodo compreso tra i venti e i trent'anni. Altrimenti, la vedo dura.

ps: non ammetterò mai che l'Estathè non faccia bene.