martedì 6 aprile 2010

Partire, però davvero

Ci sarebbe sto cosino qui che ho finito di scrivere tempo fa, fra pacchi e pacchetti nell’appartamento di Diemen, in attesa di un nuovo trasloco.

Mentre completavo la storia mi chiedevo perché lo stavo facendo. Perché scrivere un resoconto di un viaggio presentando unicamente la mia visione, senza alcun intento informativo. Perché sputare in pubblico la mia storia privata. Sentimenti, addirittura. E se poi uno legge?

Me lo sto chiedendo mentre scrivo, e al contempo cerco di rispondermi. Informazioni non ce ne sono perché quelle le trovate da altre parti. Ve le racconta gente più informata di me. Gente che il viaggio lo ha fatto più lungo, più arduo, prima di me. I nomi non vi servono, probabilmente li trovate perfino sulla Lonely Planet. Io mi sono solo guardato attorno. A volte ho cercato di capire quello che vedeva Marco Polo, ma più che altro mi sono curato di quello che vedevo io. Non un viaggiatore, un ricercatore, un avventuriero, ma uno che si è preso tre settimane di ferie perché era il massimo che il capo gli concedeva e il giorno prima di partire è rimato in ufficio fino alle 7.30 a scrivere il piano di lavoro per chi lo avrebbe sostituito. Chi per tre settimane, ma solo tre, ha deciso di vivere per guardare, ascoltare e annusare (perché le fotografie e i suoni li trovate su internet, ma gli odori, al massimo qualcuno al ristorante) e mescolare tutto nel modo più soggettivo possibile, ché non pretendo mica di raccontarvi le cose come sono, mi accontento di come sembrano a me.

E le cose che ho visto (sentito, annusato, toccato con mani sporche di giorni), le avrei viste diverse se nel frattempo non fosse successo quello che stava succedendo dove passavo, e allo stesso tempo in Europa, con una manciata di ore di fuso orario di mezzo. Se non avessi incontrato la gente che ho incontrato, o se solo avessi avuto un telefonino più moderno, col quale chiamare casa dalla taiga e dalla steppa.

Un viaggio che mi ha cambiato, già dal sei gennaio duemilanove (giorno in cui ho comprato il biglietto), mi ha cambiato ancora sulla via e soprattutto dopo il ritorno. Continua a cambiarmi: l’ultima volta è stata domenica scorsa, con il trasloco. La prossima forse domani, quando chiamerò l’ambasciata uzbeca per i visti. La persona stessa che ha iniziato questo racconto, in ottobre, non è la stessa che lo ha terminato, sei mesi dopo. È una bottiglia che era convinta di aver trovato la pace, tappata e in attesa di invecchiare felice acquistando sapore, stappata poi in un momento di follia ad una festa nella quale tutti erano ubriachi e il vino migliore è stato trangugiato alla fine, perché era l’unico rimasto. Ora è stata riempita di nuovo e tappata ancora, ma spera sia Lambrusco da 2 euro, per essere aperta al più presto.

Si stava meglio prima, certo, era più facile. C’era la convinzione che l’andamento delle cose seguisse delle regole. Ma se è dato, nella vita, sbagliare ed esserne contenti, credo di averlo fatto.

Ora basta parole. Se hai tempo, se hai voglia di viaggiare, magari buttaci un’occhiata. E poi ti do anche un consiglio, un’ultima parola in questo tono laconico se se fosse un altro ad usarlo non lo sopporterei. Se pensi “bello, ma non lo farei” continua sulla tua strada, ma se pensi “mi piacerebbe”, per una volta, fallo davvero.

3 commenti:

Aria ha detto...

Il finale mi piace un sacco, appena ho un po' di tempo leggo anche il resto, così scopro se ti sei portato dietro un Kapuscinski o Moravia :)

bastian contreras ha detto...

Kapuscinski decisamente sì (e Thubron, Barzini jr. e sr., Theroux, Terzani, perfino Hugo Pratt). Moravia mi manca...

Aria ha detto...

Moravia ha passato la vita a girare il mondo a spese dei giornali per cui lavorava, mannaggia a lui. Approvo Theroux, Terzani e soprattutto Pratt, Thubron e i Barzini mi mancano. Grazie dei suggerimenti, me li vado a cercare.