giovedì 22 aprile 2010

Amsterdam Graffiti

C’è un bambino che passa la palla al papà, che si lancia verso di lui e lo scarta con un agile gioco di gambe, scatta, si accentra e nel momento in cui è pronto per tirare ci ripensa e disimpegna verso il figlio. Fra di loro parlano francese, finché arriva la madre, che viene confinata fra i pali come si fa all’oratorio con i bambini scarsi e – appunto – le femmine. Lei però ce la mette tutta per non mettere in cattiva luce il suo sangue sudamericano. O forse boh, magari per altri motivi.

Io sulla panchina sull’altro lato del sentiero di ghiaia in teoria leggerei un libro per prepararmi per Samarcanda, ma quando c’è in ballo una partita di calcio gli occhi mi migrano in automatico dai righi di inchiostro modellato in segni al pallone con i piedi intorno. E non vale mica solo per me.

Arriva un altro bambino sui dieci anni, parla col padre. È chiaro che vorrebbe giocare anche lui. Papà lo incoraggia.

“Vai, digli che vuoi giocare anche tu. In olandese si dice ‘Mag ik spelen’”
“No, dai, sono in famiglia, e poi non si diceva ‘kan ik’”?
“No, ‘kan’ è più ‘posso’, come dire ‘posso fare qualcosa’. Qui è ‘mag’: ‘mag ik spelen’”

Attacco bottone con papà. Sono di Roma e lo si era già capito dall’accento. Sergio ha una discoteca laggiù e ci torna ogni fine settimana, tranne stavolta, con i voli fermi causa vulcano. Nei feriali vive ad Amsterdam, più comoda, condizioni più facili con i bambini, anche con una lingua in più da imparare. Tra poco il piccolo lo metteranno in una scuola apposita per chi non conosce la lingua. Intanto dice che già ora a scuola cercano di insegnare parlando il meno possibile, in modo da agevolare gli stranieri. Che sono tanti.

Si accorge che anche gli altri sono stranieri.

“Hai visto, la madre è spagnola, se parli italiano lentamente ti capisce”.

Dopo un po’ il bambino parte.

“Kan ik spelen?”
“Ja, ja, kom, kom”

Lontano dal figlio, Sergio illumina una canna e osserva. I bambini giocano, parlano italiano, francese, spagnolo e olandese, che un po’ alla volta si capisce tutto. Tanto alla loro età non si parla mica di Hegel.

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