giovedì 20 novembre 2008

Ho visto i Sigur Rós dal vivo, e anche tre ragazzini olandesi

Volevo scrivere del concerto dei Sigur Rós, ma preferisco quasi parlare di un concerto di un gruppetto olandese che ho visto venerdì sera.
Ho già scritto meno di una settimana fa che non è possibile giudicare un concerto secondo criteri oggettivi e il discorso vale a maggior ragione in questo caso.

Il fatto è che avevo una voglia matta di rivedere i Sigur Rós. Ed è stato un grande concerto, mille volte meglio di quando li avevo visti cinque anni fa. Stavolta hanno organizzato tutto in grande. Senza gli archi degli Amina, che solitamente li accompagnano, ma con maggior talento e una certa cura nella scenografia. Uno schermo con proiezioni video e telecamere puntate sugli strumenti più strani, piogge di coriandoli e il buon Jónsi che brilla con il viso ricoperto di lustrini.

Che poi uno cerca di evitare di dire che sembrano elfi, perché è un po’ la cosa più scontata che si possa fare, ma sembra che loro ci tengano proprio.

E attaccano con Svefn-g-Englar, che è quella che fa “ici-ùù”, ed è un’emozione. Suonano un paio di pezzi di Von. Poi mi perdo. Cerco disperatamente di raccogliere la concentrazione, ma non ce la faccio. Comincio a pensare ad altre cose, poi mi risveglio, cerco di seguire, ma dopo venti secondi sono perso di nuovo. E mi rendo conto che è un peccato, ma ormai sono perso. E ci sanno fare i Sigur Rós, i pezzi suonano diversamente dalla versione su CD, o almeno così credo io, ma c’è chi non è d’accordo. Mi rendo conto di starmi perdendo qualcosa di grande. K è estasiata, ma io sono perso. Inutile, le melodie sono lente, sono un gruppo da gustare da seduti.



Forse non avrei dovuto sprecare preziosi minuti di concentrazione con il gruppo spalla, i For a Minor Reflection, che confermano a voce il mio timore che siano sul palco solo in quanto islandesi (anche il cantante ci rivela che “ai nostri concerti fino a ieri venivano 20 persone”). Bravi, per carità, ma sono una copia degli Stone Martens, e il loro post rock dilatato e in crescendo richiede una concentrazione che dovrei risparmiare per dopo.

Forse invece è normale, la musica dei Sigur Rós è fatta per perdersi. Bah, mettiamola così. Però venerdì… Magari detta così suona come se preferissi un gruppo di dilettanti ai discendenti diretti di Odino. In realtà no, l’ho già scritto che vedere i Sigur Rós dal vivo è sempre un’emozione. L'unica differenza è che venerdì c'erano le chitarre. Anzi no, pensandoci bene non c'erano chitarre, ma solo basso, batteria e l’imitazione di un organo Hammond.
E già qui ammetto la mia parzialità, per me il suono dell'Hammond è nettare d'ambrosia. Comunque quando scrivevo che c’erano le chitarre intendevo che c’era elettricità, energia, cattiveria, rock.
E non voglio neanche dire che i Sigur Rós dovrebbero suonare più pesante, anzi. Penso solo che vadano gustati in pieno relax, da seduti e in piena concentrazione. E dopo una giornata di lavoro, quando ci si avvicina ai trenta, l’unico modo di sentirsi vivi è dedicarsi a qualcosa che pompa.



E mi sa che conta anche l’effetto sorpresa. Degli islandesi conoscevo già tutto, mentre il gruppo di venerdì, che mi rendo conto di non aver ancora chiamato per nome (si chiamano Daily Bread), hanno meno di vent’anni e vengono dalle campagne della Frisia.
Ma di questo non dovrei stupirmi: non serve essere più di tanto forbiti per capire che da quando esistono gli mp3 la musica è arrivata anche negli angoli più remoti, come la Frisia, o la Val di Non, per fare un esempio casuale.

E poi anche il luogo ha la sua importanza. Il Nieuwe Anita è uno squat di assoluto pregio. Si entra in una stanzina che è un soggiorno, poi c’è la sala fumatori e il palco al piano inferiore.
Ci si sente a casa. Invece i Sigur Rós li hanno fatti suonare alla Heineken Music Hall. Un palasport senza sport, in piena zona commerciale. Un po’ di rispetto imporrebbe l’organizzazione di un simile evento in un teatro. O mi sbaglio?

Comunque al Nieuwe Anita c’era una ragazzina timida e bruttognola che ce la metteva tutta, dibattendosi fra Hammond, microfono e cornetta del telefono (amplificata!), mentre il suo batterista si fermava o cambiava tempo quando meno ce lo si aspettava.
“Sexy garage dance” dichiarano i rampolli, facendo un riassunto banale quanto verace dell’andazzo generale delle cose nel campo della musica moderna. Sesso, suoni ruvidi e ballabilità: voce, batteria, basso. Ma niente fighettismo da gruppetto inglese, invece il sudore e la convinzione di una band americana. Unica concessione al glamour, il fatto che a fine concerto non si vendano CD, ma solo magliette fluorescenti.

Eh sì amici, la morale della favola è questa: un po’ di sana energia cruda fa bene all’organismo. Ma la melodia fa bene al cuore, tant’è vero che il ricordo del concerto dei Sigur Rós migliora ogni giorno e credo che domani comprerò i biglietti per i Gotan Project.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ciao. cercando nuove recensioni sugli stone martens mi sono imbattuto nel tuo blog. sono ivano, degli s.m. appunto. e non ho mica capito chi tu sia, a parte il fatto che credo abbiamo in comune la valle d'origine, sbaglio?
fra una decina di giorni sarò in olanda con max, per un paio di concerti (dEUS/tindersticks), magari ci si vede, chissà!