mercoledì 30 aprile 2008

birdwatching umano nel centro di galway


ho appena lasciato galway, dopo un intenso rapporto durato due anni.
direi che non mi dispiace per niente andarmene, anche se la città delle tribù mi mancherà.
galway è coriacea, quanto di più irlandese ci sia. la pioggia è un evento quotidiano, così come la grandine e il vento, ogni altra città remota, la gente ha la pelle spessa e tanta, tanta voglia di bere. bisogna essere forti per vivere a galway, ma tutti sono pronti a prendere in simpatia chiunque scelga volontariamente di sobbarcarsi questa sfida.
a galway siamo tutti sulla stessa barca, banchieri in cayenne e violinisti da marciapiede. tutti si mescolano, non esistono fighetti e alternativi, perché tutti sono di tutto un po'. galway è un disastro per chi cerca coerenza, per il punk che fa il punk e il figlio di papà che se la vuole tirare anzichennò. a galway i metallari con capelli lunghi e ibanez nera si mettono a suonare country per strada. proprio per questo motivo la gente di galway è colorata: non esistono uniformi, se non la maglietta di liverpool/manchester/arsenal/celtic. il divertimento maggiore al fine settimana è percorrere quay street e shop street da spanish arch ad eyre square e ritorno. si vede sempre qualche faccia strana e divertente, barboni al sidro, i busker di turno, turisti affascinati dai colori delle facciate di pub e negozi, ragazze che espongono le tette come frutta al mercato. è incredibile come ogni faccia sia diversa e grazie ad un magnifico cattivo gusto nel vestire ogni personalità rifulga di luce propria. la bambina di 10 anni truccata come la brinny, la mamma in completo rosa con stivali scalcagnati, il rugbista con la polo sbiadita, un paio di belle ragazze sfigurate da trucco da baldracche, il contadino con gli scarponi pieni di palta. donne dalle gambe da taglialegna in minigonna e pance post-parto con ombelico al vento deliziano le facce iberiche degli uomini sandwich, il nero che dipinge e quello che predica il vangelo, i suonatori di percussioni, il violinista sosia di ronaldinho, gli acrobati, i poeti, i fumatori ebbri davanti ai pub e i turisti che si fanno fotografare fra le statue del wilde irlandese e del sedicente eduard wilde estone, tetro frutto del gemellaggio con tartu. fra l'altro pare che wilde l'irlanda la odiasse come un omosessuale può odiare la più conservatrice delle società. sarà anche per questo che questo monumento pop è l'unico richiamo a lui che abbia visto in due anni lassù.
fra la facciata arancio del negozio dei maglioni delle aran e quella blu e gialla della kenny gallery si aggirano ragazzetti violenti e sporchi con gli occhi di ghiaccio e il pensiero al giorno in cui potranno finalmente alcolizzarsi e un barbone con la mano infilata nella testa di quel che resta di un salmone. i busker più fortunati si piazzano davanti al tigh coili, dove i turisti ogni tanto si fermano a dargli corda. svoltato l'angolo c'è sempre la coda davanti al bancomat. non che sia l'unico bancomat in zona, ma è l'unico a vista d'occhio, e in gruppo fare la fila è meno faticoso. il resto di shop street è cangiante, ogni settimana chiudono negozi e ne aprono di nuovi, con nuovi colori e nuovi motti. per la gioia dei francesi, gourmet burger, termini che sembrano fare a pugni l'uno con l'altro come i colori arancio e blu dell'insegna, ha chiuso dopo neanche un anno. al suo posto l'ennesima gioielleria, davanti all'entrata del mercato settimanale, il minuscolo covo degli hippy irlandesi, che possono permettersi olive a otto euro la vaschetta e crepes a cinque l'una.
del mercato però mi mancherà il baracchino del falafel, con la fila che verso ora di pranzo si allunga per una ventina di metri. ma i due hippy che lo gestiscono non si scompongono, riempiono pite di peperoncini, legumi, cetrioli e salsette fino ad esaurimento scorte, quando mandano via tutti e vanno a casa.
shop street è aperta dalle insegne pitturate a mano e dall'affresco del tigh neachtain (leggi o'norton) e nei periodi di concentrazione turistica, vale a dire quasi sempre, è praticamente inaccessibile, piena di capannelli di francoitaloiberici che devono scegliere dove mangiare fra i mille ristoranti a disposizione. tutte le guide italiane suggeriscono mcdonagh, il posto del fish & chips, che sforna - o meglio, sfrigge - pescioni incrostati e patatine mollicce e giallastre. da mcdonagh si impara il motivo per il quale nelle isole britanniche le patatine si mangiano con l'aceto: pare che questo sciolga il grasso in eccesso. effettivamente con un po' d'aceto un piatto di mcdonagh va giù quanto basta. ma i turisti italiani, invitati dal touring, ipocondriaci come sempre, se ne vanno spaventati di fronte a pesce e patate.
quay street sfocia sul corrib in prossimità di spanish arch. l'arco spagnolo esiste davvero, ma è una costruzione trista e malinconica, il cui unico merito pare sia rievocare la ritirata dell'invincibile armada spagnola. l'arco però fa ombra ad un delizioso praticello sull'estuario del fiume, dove appena esce il sole giovinastri d'ogni età si ritrovano a bere, suonare e giocare a calcio, le tre occupazioni principali della vita irlandese. il segreto è sempre ignorare il vento, che in quel punto è una costante irreversibile. d'altra parte l'irlandese è forte e impervio alle intemperie e non si sente preso per il culo se la sera si ritrova completamente scottato pur avendo sofferto il freddo del vento tutto il giorno.

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