domenica 23 marzo 2014

Ottoni



Sì, lo so che non scrivo più molto. Però va bene così. Un po’ che in Australia ho imparato che non è che ogni secondo vada investito in qualcosa, un po’ – un gran bel po’ – che ho un lavoro che mi fa passare giornate a scrivere, così che quando spengo il compiutro poi mi tengo ben lontano dallo studiolo. 


Però va bene così, eh. Mi piace, il mio lavoro. Avevo iniziato per avere un reddito. O forse più per giustificare la mia esistenza in questa nostra società, che non è che spenda soldi, io. Poi ci ho preso gusto.


Mi piace la varietà, che ieri sono passato dal profilo dettagliato delle 18 candidate a Miss Svizzera al motto per una campagna pubblicitaria per restituire il maltolto agli ebrei. Mi piace poter scegliere le parole per un testo, quelle che trovo più adatte e più belle, eliminare gli anglicismi. Ma senza estremismi, che se no mi riduco come il mio amico toscano che nelle traduzioni ci scrive spengere. Mi piace anche l’effetto dietro le quinte, che io conosco ora le campagne che l’Unione europea renderà pubbliche fra dieci giorni. O tradurre il fantaviglioso resoconto della festa natalizia della principale azienda di telecomunicazioni svizzera. Chissenefrega, direte voi e io non posso certo darvi torto, però pare che all’interno di questo corpo, forse a livello dell’Es qualcosa me ne freghi. Ed è meglio così, che se no sarei disoccupato, credo.


Non scrivo, ma in compenso leggo un sacco. Anche perché ho scoperto che alla Mediateca di Tolosa, possa Iddio sempre averla in gloria, hanno una sezione completissima di letteratura italiana nella lingua di Moravia e Balotelli.


Ora sto leggendo Paolo Nori, che anni fa, lette una volta tre righe in libreria, ho concluso che al massimo se me lo danno gratis. Verdetto: linguaggio fine a se stesso, esercizi di vanità. Punto(.) E infatti la biblioteca me lo ha dato gratis, ed è bene così. Bassotuba non c’è. Mi ha catturato il titolo, un’immediata smania di sapere non tanto chi è Bassotuba, ma perché Bassotuba. Allora ne ho lette tre pagine e ho pensato subito che il suo stile deve avermi influenzato un sacco quando ho cominciato a scrivere in questo bugigattolo qui. In realtà no, non aveva influenzato me, che mai l’avevo letto, ma diverse migliaia di altri blogghettari in giro per l’etere. Blogghettari che io avevo più o meno consciamente imitato. In pratica il Velvet Underground della letteratura italiana


Comunque leggendolo, sto romanzo ambientato nel ’98, anno lontano in cui la gente si parlava al telefono e le traduzioni le ricopiava al computer e poi le stampava su carta, ho capito che sto stile così, tipo parlato, non è poi così fine a se stesso come sembra. Io pensavo che alla fine fosse un gioco, un po’ per fare i diversi, un po’ per non prendersi sul serio. Invece no, ogni imitazione delle imperfezioni della lingua parlata ha un effetto che ti dà qualcosa di preciso, un grammo di tenerezza, un sorriso storto, un bacino sulla spalla


Alla fine della fiera, sono cose belle.

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