domenica 18 agosto 2013

Il Trecento




E con questa sono trecento volte che pubblico qualcosa su sto bugigattolo qui. Basta sommare le cifre che trovate là a destra. Certo, sarebbe più facile se nel frattempo fossi passato a Wordpress come promesso, ma quel famoso titolo geniale che mi era saltato in mente in una foresta di Tonga non è ancora riaffiorato.


Ho iniziato cinque anni e mezzo fa. Abitavo sulla costa occidentale dell’Irlanda, ma stavo cercando lavoro sul continente. Mi mancava, il continente. Non l’Italia in particolare, era proprio il continente. Avevo un lavoro dove la parola d’ordine era quella che poi mi avrebbe perseguitato come una nemesi: proactive. 


La sera arrivavo a casa demolito, e passavo la serata a guardare la televisione con la mia coinquilina o ad aiutarla col videogioco sul telefonino. Quello che mi mancava era un senso, qualcosa per motivare – non dico il mio esserci – ma almeno il mio farci.


Poi mi hanno mandato a Londra per lavoro per due settimane. La sera, nell’appartamento aziendale nel cuore vuoto della City, non ci ho messo molto a rendermi conto che la BBC e un libro di Severgnini non avrebbero soddisfatto il mio fabbisogno intrattenitivo. E stavolta non potevo neanche contare sui videogiochi della coinquiina.


Allora ho deciso che quell’idea che avevo già da un po’, si poteva anche metterla in pratica. Rimettere in piedi il blog, un po’ come la band dei Blues Brothers, ma su scala più minuta. Ho cominciato a buttare giù brevi frasi, con tutto quello che provavo. Nulla di che, per carità.


E il nulla di che è stato quello che ha tirato avanti questo piccolo gabinetto di emozioni. Perché se avessi avuto ambizioni, non sarei andato avanti un gran che. Così mi sono imposto di scrivere quello che mi andava, come mi andava, senza pensare troppo a come rendere il tutto appetibile e senza divulgare l’indirizzo (in questi anni lo ho dato a tre persone, più l'intero Club del Libro di Amsterdam).


Certo, se mi avessero detto che dopo cinque anni avrei avuto la stessa quantità di visite che il blog che ho scritto viaggiando con Lilù ha raggiunto in tre mesi, se mi avessero detto che la quantità di lettori più o meno fissi sarebbe stata (molto) inferiore a dieci, forse un po’ ci sarei rimasto male.


E invece alla fine no, perché è vero che da quando ho sostituito le designazioni delle parti del corpo femminile con asterischi in quel vecchio post, qui di gente ne passa davvero poca, ma è tutta gente a cui tengo. Il primo blog, che parlava di musica e vita, forse era morto per quello: tanti commenti, ma boh. Mi pareva di urlare in mezzo a una piazza: qualcuno ti ascolta, ma chissà poi cosa pensa.


Su queste pagine ecosostenibili (in quanto stampate su SVGA) ho conosciuto almeno tre persone nuove, tre persone che mi piacciono molto e che ho incontato anche nella VeraVitaReale (anche se uno dei tre non credo mi legga più da un po’) e ho avuto il grande piacere di rinsaldare il contatto con un’altra persona, che già conoscevo e che mi ha smascherato per caso.

Ecco, questo basta. E comunque, visto che ci siamo, se per caso ci fosse qualche lurker là fuori, direi che è il momento di farsi avanti.


Intanto sono a pagina 917 di 981 (nota 371 di 388). In proporzione sono 3 pagine fitte fitte per ognuno dei miei post e fra poco verrà il momento di parlarne un’ultima volta e poi seppellire una volta per tutte l’argomento.

E nel frattempo – se devo fare una rivelazione shock, come si fa quando si raggiunge una pietra miliare –  lo ammetto: “proattivo” non è lo stesso di “attivo”, ma con un prefisso che fa business, ma ha un significato. Questo però ancora non basta ad arginare la tristezza e il senso di vuoto che provo di fronte a chi è troppo convinto della sua pretenziosa carica manageriale.