Ho letto la biografia di De André, e ho pensato che al liceo
non sono mai riuscito a trovare un personaggio in cui identificarmi come
facevano i miei amici con Jim Morrison, Kurt Cobain o il miticissimo Che,
e che se il mio giovane snobbismo non mi avesse costretto a ripudiare a priori
la musica italiana, forse lo avrei avuto là, mortomi comodamente davanti
l’ultimo anno di liceo.
A un certo punto mi ero inventato Jack Kerouac come
idolo, ma non ha mai funzionato. Ve l’ho già raccontata, vero, la storia di
quando ho scoperto che per vivere sulla strada si faceva spedire gli assegni
dalla mamma? Ah, e poi avevo imparato a memoria le prime pagine dell’Urlo di
Allen Ginsberg. Poi quando alcuni amici facilmente impressionabili dalle
tecniche mnemoniche avevano cominciato ad interessarsi alla poesia beat, avevo
reagito secondo il mio copione tipico, prima concentrandomi solo sui poeti meno
noti e poi trovandomi altri interessi. La poesia, mi piace come suona, ma non
mi impressiona quello che dice. Purtroppo preferisco chi dice le cose chiare a
chi si nasconde dietro la libera interpretazione. Dico purtroppo, perché la vita sarebbe molto più magica, riuscendo a
prenderla un po’ di liricamente.
C'è un'eccezione: adoro Patti Smith. Non una grande poeta, ma un
grande personaggio. Qualche settimana fa, quando sono stato a Roma, non mi
pareva vero che suonasse là proprio in quei giorni. Era un po’ che la volevo
vedere e anche a Tomas l’idea garbava. A dire il vero l’avevo già vista nel
lontano 1999, tenero giovane me, ad un Pistoia Blues dove ero andato per i
Jethro Tull ed ero rimasto per curiosità, per capire qualcosa sull’autrice di
quella canzone che avevano rifatto in versione discoteca, mentre i miei amici
andavano ad ammazzarsi di canne. Ricordo che avevo apprezzato l’esibizione, anche se non mi piace la musica pop [cit.]
Invece stavolta, a Roma, ha suonato per intero Gloria, che è
sempre stabile in qualsiasi ipotetica classifica dei miei dieci dischi
preferiti. Ha cantato anche Gloria, che da anni ha eliminato dai concerti
perché a sua ammissione, cantare che Gesù
è morto per qualcuno, ma non per me le ha sempre portato sfiga. Stavolta si
monda dai peccati con ripetute dediche al papa che si chiama come Totti. Che in fondo,
anche Sanfrancesco era un antesignano del miticissimo Che, giusto senza sigaro e
serigrafia. E non ditemi che a lui la grafica gliela ha curata Giotto, che fra
i giovani Giotto non può mica competere con Peter Korda o Jim Fitzpatrick.
Ecco, la Patti è sempre stata una che si è lasciata attrarre
dagli idoli, dall’immagine. Per dire, lei ha cominciato a leggere Rimbaud
perché le suonava bene il nome, e ogni volta che le si chiede qualcosa su di un
artista parla del suo aspetto. Perfino qualche tempo fa su Rai 3, quando Fazio
continuava a chiederle perché le piacesse Giorgio Gaber, lei ripeteva con semplicità
e candore che era un grande personaggio e aveva un portamento da figo. E io provavo vergogna per lei,
perché a uno, dargli del grande
personaggio, sembra quasi di sminuirlo, come se le movenze nascondessero la
voce. E invece oggidì lo sappiamo tutti, che i bravi sono troppi e la
differenza la fa chi oltre che bravo è anche figo.
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